Milano 22 Aprile – Novant’anni fa a Marktl, comune dell’Alta Baviera che non arriva a tremila abitanti, nasceva Joseph Aloisus Ratzinger, oggi Papa emerito della Chiesa Cattolica sotto il nome di Benedetto XVI. Novant’anni domenica il 16 aprile scorso, il giorno di Pasqua, una casualità necessaria, un concentrato simbolico che tiene insieme tutta la vita di un uomo, una vita spesa ad affrontare il mistero abissale eppure luminoso di un Dio che si fa carne, dolore, sangue, perfino morte. Per amore. Un paradosso logico che Joseph Ratzinger ha sezionato tutta la vita, con l’arma privilegiata dell’intelletto, senza scorciatoie mistiche o all’opposto deviazioni politiciste, secolari, ben aggrappato all’edificio scolpito dai Padri della Chiesa e dalla grande filosofia scolastica. Ma sapendo sempre, in quel foro interiore che va ben oltre l’intelletto, e che nei bivi decisivi dell’esistenza si riprende sempre i suoi diritti, che la scelta di Dio, di quel Dio controintuitivo che si è abbassato al grado più infimo dell’umano, non è una teoria. È una scommessa, un azzardo, un giro di roulette, come voleva Pascal, e come lo stesso cardinale Ratzinger, poco prima di diventare Papa, propose “agli amici non credenti” in un memorabile discorso pronunciato a Subiaco. “Vivere come se Dio ci fosse“. Per amplificare al massimo la libertà dell’uomo, e dotarla di un senso razionale.
Ha sempre oscillato tra questi due poli, l’avventura umana e spirituale di Joseph Ratzinger. Lo studioso, il teologo, “uno che riflette e medita sulle questioni spirituali”, come si definisce nel libro-intervista con Peter Seewald Ultime conversazioni, in realtà una sorta di spaccato sul flusso di coscienza di uno dei più grandi pensatori viventi, un “filosofo” nel senso greco incompreso dalla congrega di intellò mondani che hanno speso fiumi di parole su di lui senza comprenderne una delle sue. E poi lo scommettitore, il credente per scelta reiterata quotidiniamente, “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” che i cardinali indicarono “dopo il grande Papa Giovanni Paolo II”, come si descrisse il giorno dell’elezione al soglio pontificio. Mai, in nessun caso, il politico, l’ideologo, l’uomo di governo o di pedagogia sociale, ed è per questo che ci manca dannatamente, Papa Ratzinger, come manca a tutti coloro che oggi, quando l’Occidente è minacciato mortalmente da nemici lontanissimi tra loro, ma uniti da una radice comune (appunto, la negazione dell’irripetibile anomalia occidentale, della nostra anomalia), bramerebbero parole pregnanti, eccezionali, orgogliose come quelle del discorso di Ratisbona, ancora oggi l’ultimo scoglio intellettuale a cui aggrapparsi per presidiare l’anomalia. “La profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia”. Questa, è l’anomalia. Questi, siamo noi, volenti o nolenti uomini greco-romani-cristiani. È per questo, che il Vangelo di Giovanni esordisce col logos di Platone e Aristotele, in principio era il Verbo. Ed è per questo, è grazie a questo matrimonio imperscrutabile tra ragione classica e fede cristiana, che compare nella nostra civiltà qualcosa come la “persona“, dotata di dignità intrinseca in sé, che poi diventa l’individuo dotato di inalienabili diritti della tradizione liberale, il quale si muove da subito in un territorio “laico” perché rischiarato dall’esercizio del pensiero, com’era già implicito nel dettato evangelico. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. L’anomalia, la diversità, l’eccezione irriducibile della civiltà occidentale che Joseph Ratzinger ha difeso e rivendicato dal primo all’ultimo giorno di pontificato, mentre in varie parti del mondo si uccideva e si uccide (anche in Occidente, dall’11 settembre fino a Stoccolma) urlando che un Dio è grande, si sgozzano gli infedeli, si impiccano gli impuri, si vive o si muore se si sanno a memoria o meno i versetti del Corano.
Questo, ci manca terribilmente. Ci manca quel piccolo, ostinato uomo aggrappato al bastone papale e a millenni di pensiero che noi frulliamo continuamente nel discount finto-progressista del multiculturalismo, e che lui invece voleva preservare, issare ancora a bandiera, farne ancora un confine di senso, stai con la persona o col collettivo, col Dio che soffre e muore o col Dio che stermina, con la ragione o con la sharia. E se certo la contrapposizione con l’altro, col successore, col Papa dell’ecologismo e del “pugno tirato” ai martiri di Charlie Hebdo è ormai stucchevole genere letterario, noi non possiamo fare a meno di ammettere che in questa Pasqua ci piacerebbe sentire, fosse anche un’ultima volta, la voce metallica di Benedetto XVI dire qualcosa sul Senso, sul mondo, su di noi. Ma sappiamo che lui, anche oggi, non smuoverà gli occhi da quelle pagine in cui ha voluto rintanarsi, forse scottato dallo stato di quella civiltà che amava così tanto, e ci accontentiamo di fargli i nostri umili, insignificanti, sinceri auguri.
Giovanni Sallusti (L’Intraprendente)
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