Milano 23 Aprile – Il privilegio di mettere il naso fuori dalla porta non è di tutti, guarda caso di chi ha una bicicletta, la Rolls Royce del tempo. Sono loro, i nuovi equilibristi su due ruote, a permettersi il gusto del viaggio e dell’avventura, anche solo nella provincia di confine. Dopo tutto, è la prima iniezione di velocità in un mondo realmente slow. In questo 1909 ne succedono di cose: Marconi vince il Nobel della fisica con il telegrafo senza fili, Marinetti pubblica su Le Figaro il Manifesto del Futurismo, Giolitti vince le elezioni. Gli italiani sono 34 milioni e le donne non possono votare: di fatto, il tre per cento della popolazione decide per tutti, in un periodo che tra l’altro vive le sue brave emergenze, per l’eruzione del Vesuvio nel 1906 e il terremoto del Natale 1908 a Messina e Reggio. Le strade sono quelle che sono: di terra e non sempre battuta. Nonostante questo, per il Paese girano già 600mila biciclette. Il ciclismo è sin dall’inizio una stella polare per la Gazzetta dello Sport, non ancora rosea.
Il 24 agosto 1908 il direttore Eugenio Costamagna annuncia l’organizzazione del primo Giro d’Italia per l’anno successivo. È l’incipit di un romanzo popolare senza fine, con una trama sconfinata e imprevedibile, zeppa di persone e di personaggi, di fatti e di misfatti, di bello e di brutto, perfetto specchio del Paese e in fondo della vita stessa. Si parte da Milano e si arriva a Milano, neanche a dirlo. È il 12 maggio 1909 quando si punzona e ufficialmente inizia il primo Giro. Le otto tappe devono toccare Bologna, Chieti, Napoli, Roma, Firenze, Genova, Torino e di nuovo Milano. La bandiera del via sventola che è ancora notte fonda, per la precisione alle 2.53, dal rondò di piazzale Loreto. Nel Paese si diffondono subito stupore e meraviglia. Per Ganna e per gli altri. Quei ragazzi in bici sono considerati degli eroi, magari non del tutto a posto di testa, ma certo mitici. Diciotto giorni dopo, l’arrivo a Milano. Consumati da 2.546 chilometri, si presentano solo in 49. La città è invasa da una folla incontenibile. I cavalli di 230 Lancieri di Novara sono irritati, scalciano e s’impennano. Una bestia colpisce addirittura un favorito, Rossignoli, abbattendolo. Nella volata vince Beni, davanti a Galetti e a Ganna, che così si porta a casa il primo Giro. Anche in questo caso, come già successo a Torino, gli organizzatori devono però tenere segreto il luogo dell’arrivo. Ordine pubblico. I più svegli scopriranno all’ultimo, come riporta il Corriere, che è fissato «sul viale di Musocco, nei pressi del ristorante Isolino…». La vera massa però è in attesa all’Arena, che il cronista definisce «una plaza de toros durante la corrida real». Alle tre e un quarto, il cannone spara. Sono arrivati. La folla esplode in un boato. Tutti vogliono sapere chi abbia vinto.
La notizia arriva via telefono: Ganna. Ma lui quando arriva? Pochi minuti ed eccolo, con il suo leggendario numero 19. Il primo mito porta la bicicletta al controllo. Poi sale in macchina, con i fiori del vincitore, per fare il giro dell’Arena. È sfinito e imbalsamato di polvere. Attorno a lui la bella gente di una Milano festosa ed elegante, la Milano della Belle Époque. Il vincitore viene intervistato sul traguardo. Gli chiedono come si senta. La riposta non esce dal galateo e non entra nella storia come il dato è tratto e obbedisco, ma resta una pietra miliare: «Me brüsa tanto el cü». Volti e parole di una memoria autenticamente pop. Cento volte dopo, il Giro li riporta a casa, sotto al Duomo. Il Giro torna nel cuore di Milano, Milano torna nel cuore del Giro.
Cristiano Gatti (Corriere)
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