Milano 28 Aprile – Daniele Manca sul Corriere intervista Marina Berlusconi: Un’intervista che parla di attualità, di politica, di antipolitica, di Vivendi e del padre. La proponiamo integralmente.
Oggi (ieri ndr) presiederà l’assemblea Mondadori chiamata ad approvare quello che definisce «il bilancio della svolta». La salute dell’azienda la testimoniano i conti, ma in questa intervista Marina Berlusconi sottolinea come la loro importanza vada al di là della dimensione economica: perché lo stato di salute di un Paese si misura, in modo rilevante, dalla solidità della sua industria culturale, che ne costituisce l’ossatura profonda. A maggior ragione mentre fanno proseliti il pensiero populista e movimenti come quelli che hanno portato Trump alla Casa Bianca e Marine Le Pen al ballottaggio in Francia. Di fronte ai quali la presidente di Mondadori e Fininvest spezza anche una lancia a favore della politica, con tutti i suoi errori e le sue colpe, ma che «resta senza alternative» .
In questi mesi non siete stati fermi. A cominciare dalla cessione del Milan. Una sconfitta o una vittoria?
«Nessuna vittoria, la vendita del Milan ha rappresentato una sconfitta per tutti. Quello del closing non è stato un gran giorno né per mio padre né per la nostra famiglia. Ma non si poteva fare altrimenti, mio padre l’ha spiegato in quella bellissima lettera di congedo. E, se guardiamo al nostro gruppo, l’impatto positivo della vendita sui conti, tra l’incasso e gli esborsi annui che non dovremo più sostenere, è davvero rilevante».
Doppiamente rilevante, visti i conti in rosso di Mediaset.
«Dietro quei conti c’è un nome e un cognome: Vincent Bollorè. Senza il voltafaccia di Vivendi, Mediaset avrebbe chiuso il 2016 in pareggio, un risultato buono vista la debolezza del quadro generale. E comunque già quest’anno tornerà in utile».
Sì, ma vi ritrovate un signore non proprio «leggero» come Bollorè in Mediaset, e al 30%.
«L’Agcom ha sancito che la posizione di Vivendi è illegale: il problema ora è tutto suo. La nostra posizione è molto chiara: la prima cosa che Bollorè dovrebbe fare sarebbe quella di rispettare il contratto vincolante che ha firmato e risarcirci degli enormi danni che ci ha procurato».
Situazione più tranquilla in Mondadori? Non vi siete negati nulla, da Rizzoli a Banzai…
Cresciamo per il terzo anno consecutivo e le previsioni per quest’anno sono ancora migliori. In estrema sintesi: nel 2016 i ricavi, con l’acquisizione di Rizzoli, innanzitutto, e di Banzai, sono tornati a salire; in tre anni i margini sono raddoppiati, l’indebitamento è calato di 100 milioni nonostante queste due operazioni, il risultato netto è passato da meno 185 milioni a un utile di 22,5, previsto in crescita per quest’anno».
È singolare come in un’era dominata dalla tecnologia i libri abbiano un peso sempre maggiore.
«Beh, la metà circa dei nostri ricavi è rappresentata dai periodici e questo certo non lo dimentichiamo, ma i libri incidono per il 70 per cento sui margini e nella nostra strategia hanno un ruolo centrale, l’acquisizione della Rizzoli lo conferma. Se pensiamo alla crescita, e ci stiamo pensando visto che esistono tutte le condizioni necessarie, al primo posto vengono i libri. Ovviamente non in Italia, non ci sarebbe peraltro consentito. Ci stiamo guardando attorno».
Tutto questo, lei dice, è una buona notizia per l’intero Paese. Non le sembra di esagerare?
«Non mi pare. Lo stato di salute della cultura di un Paese dipende in larga parte da quello della sua industria culturale, dalla sua qualità, solidità, competitività. La svolta della Mondadori sta a significare che l’editoria non è avviata verso un inarrestabile declino. E io credo che di questi tempi ci sia un gran bisogno di buona editoria».
Ma quello del libro è un settore a dir poco stabile se non in decrescita…
«Pur essendo il media più vecchio, ha oltre duemila anni di vita, mantiene una attualità stupefacente. Si è dimostrato il più coriaceo e il meno vulnerabile. Neppure la rivoluzione comunicativa più importante nella storia dell’uomo, e cioè il digitale, ne ha messo in discussione la sopravvivenza. Non credo esista un caso analogo, una tecnologia nata migliaia di anni fa che però conserva ancora tutta la sua freschezza e la sua modernità. E questa sì mi pare una gran bella notizia. Non pensi solo ai numeri, peraltro positivi … Il libro ha un valore speciale».
Beh, l’ha sempre avuto. Quel che dice oggi valeva anche dieci o cent’anni fa.
«Sì, ma si guardi attorno: viviamo tempi fatti di contrapposizioni, di chiusure, di ostilità. Noi, un editore come la Mondadori, non possiamo che essere l’esatto contrario di tutto questo. I muri tiriamoli su, eccome, se servono a fermare il fondamentalismo e il fanatismo, ma abbattiamoli se sono stati pensati per sbarrare la strada alla libertà di espressione, alla libera circolazione di idee e opinioni, al rispetto di chi non la pensa come noi».
A chi sta pensando? A Trump? Alla Le Pen? A Grillo?
«Il mio è un ragionamento che non riguarda qualcuno in particolare, riguarda un modo di pensare: quello che ha trovato la formula magica nell’antipolitica, a costo di chiudere gli occhi di fronte a tutta la demagogia e l’ipocrisia di cui l’antipolitica si nutre. Mentre io credo che mai come oggi si dovrebbe tornare a dare valore alla politica. Che ha molto, anzi moltissimo da farsi perdonare, ma quale è l’alternativa?»
Sembra una dichiarazione di guerra al populismo…
«Lascerei stare le definizioni, spesso portano fuori strada. Comunque, il successo di certi movimenti e di certi leader non spunta dal nulla. È la comprensibile risposta ad una crisi economica devastante e alle insicurezze profonde che una globalizzazione non gestita ha creato. Rappresenta anche la reazione, altrettanto comprensibile, agli errori di chi ha governato prima o al cattivo funzionamento delle istituzioni».
Ma tutti hanno le loro responsabilità, da sinistra a destra.
«In misura diversa, e comunque non è questo il punto. Non credo spiegabile la vittoria di Trump se non guardando ai troppi sbagli commessi da Obama. Così come penso che Marine Le Pen non raccoglierebbe i consensi che raccoglie e la Brexit non sarebbe passata in un’Europa che non si fosse smarrita tra burocrazia ed egoismi, in un’Europa che sapesse affrontare davvero unita e senza demagogie il più grande dramma dei nostri tempi, quello dell’immigrazione».
Resta il buon successo elettorale della Le Pen, non crede?
«Rispetto Marine Le Pen e comprendo le motivazioni, molto concrete e non più eludibili, di chi la vota, ma penso che una sua elezione, e lo dico anche da imprenditore, rischierebbe di essere il colpo di grazia per un’Europa già estremamente fragile».
E secondo lei i libri potrebbero compiere la magia di risolvere questioni così intricate?
«Certo che no. Ma siamo tutti sempre più assediati da domande, dubbi, incertezze, e penso che il libro possa rappresentare non dico la risposta, ma un aiuto per trovarla. Non è un caso che le dittature i libri li mandino al macero o al rogo. Perché sono pericolosissimi: ci aiutano a pensare e a ragionare, avvicinano e non separano. Mi pare insomma rappresentino un antidoto formidabile contro l’integralismo, l’intolleranza, il non voler vedere che non ci sono scorciatoie davanti a problemi complessi. Perché se l’eccesso di ideologie ha fatto i danni che ha fatto, l’alternativa non può essere l’ideologia del nulla, del vuoto, che rifiuta ogni valore e che tutto banalizza».
Esistono anche i cattivi libri, veicoli delle idee più negative. Le cronache del terrorismo jihadista ne sono piene.
«Certo, ma stiamo parlando di un fenomeno di dimensioni marginali. Leggere vuol dire respirare la vita, e capita che a volte l’aria sia avvelenata».
Posizioni un po’ diverse da quelle di suo padre, che molti considerano il prototipo del populismo contemporaneo.
«Bisogna intendersi. Se essere populisti significa la capacità di entrare in sintonia profonda con gli altri, capirne esigenze e necessità, è un conto. Ma se invece si intende una generica voglia di essere anti tutto, allora mio padre è l’esatto contrario. Si è sempre battuto per il rispetto di quella democrazia liberale che chi nega l’idea stessa della politica vorrebbe cancellare, per sostituirla non si sa bene con che cosa».
Ma anche lui ha fatto degli errori…
«Mio padre è ancora e sempre un punto di equilibrio centrale nello scenario politico, resta dopo così tanti anni un grande protagonista positivo, con la sua esperienza e la sua lungimiranza. Se togliessimo la figura di Silvio Berlusconi dagli ultimi trent’anni di storia, parlo del politico e dell’imprenditore, avremmo un’Italia incommensurabilmente meno libera. Meno libera di scegliere, di intraprendere, di pensare con la propria testa senza chiedere la testa altrui. A mio parere questa è la sua più grande rivoluzione. Le sembra populismo?».
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