Milano 4 Maggio – La giustizia italiana non finirà mai di stupire in senso negativo. Non è quindi illogico che dei cittadini su dieci non abbiano fiducia nella magistratura. A volte certe sentenze gridano contro il buon senso e la razionalità. Il caso che riportiamo è raccontato da Il Giorno che ne evidenzia il paradosso: “Condannata per occupazione abusiva, le viene concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali e ritorna in quell’appartamento. La vicenda a tratti surreale viene fuori da una sentenza della Cassazione datata 3 aprile 2017 che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale contro un provvedimento del Tribunale di Sorveglianza. Ma andiamo per ordine. Come risulta dal verdetto della Suprema Corte, la 43enne Rosaria L. viene condannata dal Tribunale per invasione di edifici. L’11 maggio 2016, il Tribunale di Sorveglianza concede la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali «in relazione alla pena di mesi uno di reclusione»; e i giudici prendono questa decisione perché la condannata, a carico della quale risultano altri precedenti né procedimenti penali in corso, «disponeva di un domicilio e svolgeva attività lavorativa sia pure non continuativa».
Peccato, la contestazione del Procuratore generale presso la Corte d’Appello, che «la condannata continuava ad occupare abusivamente l’alloggio Aler da 13 anni e che la misura alternativa le era stata concessa in virtù della disponibilità di un alloggio che era stata causa della condanna». Fuori dal legalese: la donna è stata paradossalmente «premiata» per lo stesso motivo per il quale era stata prima condannata, quella casa che occupava ed è tornata a occupare abusivamente. Inevitabile la contestazione da parte della Procura generale: manifesta illogicità della motivazione. Troppo poco per la Cassazione, secondo la quale la Procura non ha adeguatamente motivato il ricorso: «Il ricorrente assumeva che l’occupazione dell’immobile fosse ancora abusiva, ma questo dato non risulta dall’ordinanza impugnata né il ricorso è corroborato da elementi in tal senso». In particolare, «l’impossibilità di conoscere l’atto processuale dal quale emergerebbe la prova certa dell’occupazione abusiva perdurata si risolve in un limite all’ammissibilità della doglianza». E a nulla serve, par di capire, ricordare che la donna è stata condannata proprio per quello: invasione di edifici per 13 anni di fila. Conclusione: ricorso inammissibile, resta valida l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. A proposito di misure alternative al carcere concesse agli occupanti abusivi di alloggi popolari, va ricordato il caso dello scorso dicembre, quando un pusher italiano di 32 anni fu arrestato dalla polizia locale nel corso di un blitz in via Gola e messo ai domiciliari nell’abitazione da lui occupata in via Pichi.”
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