Milano 9 Maggio – Proponiamo un’analisi del collasso dei partiti ascritti al socialismo europeo vista da sinistra. L’articolo è di Peppino Caldarola e pubblicato da Lettera43
Le elezioni francesi sono per il “socialismo” un po’ quello che la caduta di Berlino fu per il comunismo. Socialismo occidentale e comunismo non sono comparabili, è ovvio. Democratico l’uno, totalitario l’altro. Ma il tratto comune, che alcuni lungimiranti videro nell’89, è che la morte dell’uno avrebbe provocato la morte dell’altro. La Francia ha indicato il declino ormai irreversibile del partito legato all’Internazionale socialista e, se non fosse per la Germania che nella storia del socialismo ha sempre avuto un ruolo diverso, oggi potremmo concludere che il socialismo europeo è finito.
SONO TUTTI BLAIRIANI. Hanno concorso molti fattori. Il primo è certamente la trasformazione dei partiti socialisti in partiti di centrosinistra o della Terza via. L’impronta socialista, magicamente incardinata sul patto del Welfare, è venuta via via a diluirsi dentro l’idea antica della mano invisibile e protettiva della globalizzazione estrema che avrebbe prodotto qualche strappo ma arricchito tutti rilanciando il capitalismo. Il socialismo di questi anni ha così perso finalità. Quello “democratico” da soggetto di trattativa e di riforma del capitalismo ne è diventato il suo portavoce anche negli aspetti più crudeli e punitivi verso il lavoro. Nessun leader della sinistra, soprattutto in Italia, può sottrarsi a questa responsabilità. Sono stati tutti blairiani e clintoniani, anche se oggi cercano di nasconderlo.
LA SUBALTERNITÀ CULTURALE. Il secondo fattore che ha indebolito fino alla morte il socialismo è stata una concezione europeista assai poco debitrice verso la cultura di Altero Spinelli e più legata alla tecnocrazia e al mondo bancario. Ci sono state anche accelerazioni che hanno portato alla moneta unita nel modo peggiore. Tuttavia il dato di fondo è che i benefici storici dell’Europa unita, che restano tuttora, sono stati assai depotenziati da una subalternità culturale, politica e istituzionale all’Europa dei più forti. Il socialismo non ha lasciato il segno. Infine si può citare, come ultimo fattore, la scarsa qualità dei leader del Partito socialista europeo. Dopo personalità come Jacques Delors siamo scesi in serie B con l’avvicendarsi di gestori di sigle privi di idee, di slancio, di proposta.
In ciascun Paese il declino socialista ha trovato altre ragioni ancora. In Italia una in particolare: chi avrebbe dovuto chiamarsi socialista, come gli ex comunisti revisionisti, ha rifiutato pervicacemente questa etichetta se usata a fini nazionali, sprecandola se usata nel Continente. Altri come Matteo Renzi hanno preso la palla al balzo per iscrivere il loro partito – il Pd nel caso dell’ex rottamatore – al Pse come a volersi levare da un impiccio senza investire. Del resto Renzi non ha né la cultura né la voglia necessarie a un rinnovamento “ideologico”.
UN’ETICHETTA DA EVITARE. Ancora oggi il nuovo partito che viene fuori dal Pd evita accuratamente di definirsi socialista come se si trattasse di un’etichetta infame, mentre disdicevole è proprio il rifiuto di prendere sulle proprie spalle la bella storia del socialismo italiano. Restano a combattere più che per un nome per il significato di quel nome, cioè la trasformazione sociale e di potere in senso più favorevole a chi sta peggio, la lotta alle diseguaglianze, le riforme che spingano più in là le colonne d’Ercole del turbocapitalismo, la cultura dell’inclusione dei migranti. Restano movimenti o partiti che hanno un ruolo marginale o sono fuori dal Pse.
PETULANTI CRITICI DA “SINISTRA”. È chiaro che, se non emerge un Emmanuel Macron socialista, la questione è chiusa per lungo tempo. Resteranno Renzi e Macron e alcuni petulanti critici da “sinistra”. La storia ha contato le Internazionali: la Prima, la Seconda, la terribile Terza, la piccola Quarta e poi questa che sta morendo. Vogliamo dare un numero a quella nuova purché si possa rottamare la sua inutile e attuale classe dirigente?
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845