Belpietro: babbo Boschi e babbo Renzi operazione insabbiamento

Attualità

Il Rottamatore e Delrio provano a sbianchettare le manovre dell’ex ministra su Banca Etruria. I giornali puntano a insabbiare l’inchiesta Consip. Vogliono il porto delle nebbie.

Milano 15 Maggio – C’era una volta il porto delle nebbie: così venivano chiamati in tempi non lontani gli uffici giudiziari di Roma per la densa foschia che regnava sulle inchieste riguardanti i potenti di turno. Oggi la nebbia, lungi dall’essersi diradata, si è estesa a molte redazioni, in cui invece di cronisti allenati a fiutare le notizie soggiornano spesso giornalisti pronti a bersi ogni frottola. Sono d’esempio gli articoli su due vicende in questo momento molto discusse.
La prima riguarda la Consip, cioè la centrale di acquisti della pubblica amministrazione, e il babbo dell’ex premier Matteo Renzi, Tiziano. L’inchiesta, in cui il celebre genitore è indagato per traffico d’influenze, dovrebbe accertare l’esistenza di un comitato d’affari che si spartiva appalti miliardari.
Al momento sembra però che più che sui soldi spartiti fra le aziende con l’aiuto di pubblici funzionari interessi indagare su chi fa le indagini. Nel mirino è finito il comandante del nucleo dei carabinieri incaricato delle investigazioni, il quale è sospettato di aver preso qualche abbaglio scambiando fischi per fiaschi.

In realtà, qui a prendere fischi per fiaschi sono certi giornalisti, i quali ieri hanno scritto lunghi articoli per smontare la tesi principale dell’inchiesta, e cioè che babbo Renzi fosse a conoscenza in anticipo delle indagini perché informato
da uomini delle istituzioni. A spifferare tutto non sarebbero stati alti ufficiali o uomini di governo, no, sarebbe stato un cronista del Fatto quotidiano. Questa per lo meno la tesi dello stesso Tiziano Renzi, il quale sapendo di essere nel mirino degli inquirenti tanto da misurare le parole, al telefono avrebbe raccontato a un interlocutore la preziosa informazione. Che ovviamente gli investigatori non avevano preso in considerazione, sapendola falsa.
Ma i giornalisti al contrario se la sono bevuta, ritorcendola contro il comandante titolare delle indagini. Eppure, per capire il depistaggio sarebbe bastato un controllo delle date.
Quando il collega del Fatto quotidiano chiama il babbo del premier per chiedergli se c’è un’indagine che lo riguarda?
Il 6 novembre dello scorso anno. E che accade il 6 novembre del 2016? La Verità, in un articolo di Giacomo Amadori,
racconta che il papà di Matteo Renzi è molto preoccupato per l’inchiesta di una procura del Sud, un’indagine che se venisse rivelata potrebbe addirittura far perdere il referendum al figliolo. Non solo: quel giorno scriviamo che il genitore del presidente del Consiglio teme di essere intercettato e lo confida a qualche amico, chiedendo di lasciare a casa il telefonino.

Insomma, Tiziano Renzi sapeva dell’inchiesta di Napoli in anticipo e a dirglielo non è stato il cronista del Fatto, il quale ha preso contatto con lui solo dopo il nostro articolo. Le date sono peraltro confermate dal collega, il quale ieri ha pubblicato gli sms che ha scambiato con il papà del segretario Pd.

Dunque, se c’è nebbia non ristagna sui fatti, ma in certe redazioni.

E ora veniamo a un’altra inchiesta che suscita scalpore, ossia quella che riguarda il caso Etruria e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi. Qui a indagare non è la magistratura, ma la stampa. O meglio: una
parte della stampa, perché un’ altra fa a gara a nascondere le notizie oppure a minimizzarle.
La storia è nota: Ferruccio de Bortoli ha raccontato che nel gennaio del 2015 l’allora ministro delle Riforme cercò di salvare la banca del papà rivolgendosi all’amministratore delegato di Unicredit. La notizia ha rilevanza per almeno un paio d’aspetti: il primo è che dimostra come l’attuale sottosegretaria alla presidenza del Consiglio abbia mentito al Parlamento dichiarando di non essersi mai occupata della Popolare dell’Etruria; il secondo è che dimostra come una delle figure più influenti del governo fosse a conoscenza delle condizioni in cui versava la banca di Arezzo. Ma attenzione, ecco che arriva il colpo di scena. Con interviste e dichiarazioni ai principali giornali, il ministro Graziano Delrio fa sapere che anche lui si interessò dell’istituto di credito toscano, chiedendo alla Popolare dell’Emilia se fosse
interessata ad acquistare la banca di papà Boschi.
«All’epoca ero sottosegretario alla presidenza del Consiglio», ha spiegato il titolare dei Lavori pubblici, «e mi occupavo di aziende in crisi come Alitalia, Ilva, Piombino, e dunque mi capitò tra le mani anche il caso dell’istituto di Arezzo». Con il che si cerca di chiudere il caso dicendo: tutti ci occupavamo di Etruria, mica solo la Boschi.
Ci sono però alcuni piccoli aspetti che rimangono poco chiari. Il primo è che Alitalia, Uva e Piombino erano aziende notoriamente in crisi, mentre tra fine dicembre 2014 e 2015 nessuno era a conoscenza delle crisi della banca di cui era vicepresidente Pierluigi Boschi.
C’era un dossier Etruria sul tavolo del governo? E chi ce lo aveva portato?

Secondo aspetto: Delrio dice di essersi mosso proponendo l’operazione di salvataggio al presidente della Popolare dell’Emilia. Fece lo stesso anche con le altre tre banche in crisi, ossia Carichieti, Cassa di Ferrara e Banca Marche? Se sì, ci dica chi contattò.

Terzo aspetto: l’intervento di Delrio per salvare Etruria risale al primo gennaio del 2015, e come sappiamo non andò a buon fine. Tuttavia, nonostante a Palazzo Chigi conoscessero le condizioni della banca, non si fecero scrupolo di inserire l’istituto toscano fra le dieci popolari da trasformare in spa. Il 24 di gennaio, infatti, fu varato il decreto che fissava le nuove regole bancarie e il titolo di Etruria fu oggetto di una speculazione che portò le azioni a crescere in Borsa del 60 per cento. Ma se la Popolare aveva un patrimonio prossimo allo zero e altri istituti di credito rifiutavano
di acquistarla, perché il governo la mise nel decreto tra quelle da riformare? Perché consentire che qualcuno, spinto dalla voglia di investire comprasse azioni che di lì a poco, con il commissariamento deciso 18 giorni dopo il decreto, trasformeranno i titoli in carta straccia?

Ecco, queste sono le domande che avremmo voluto rivolgere a Delrio, ma sui giornali che alla confessione del ministro hanno dato largo spazio non le abbiamo trovate.
Al contrario, sulle redazioni si segnala una forte nebbia in aumento. Del resto, la nebbia agli irti colli sale, figuratevi se non arriva ai piani alti del Palazzo. Palazzo Chigi, ovviamente.

Maurizio Belpietro (La Verità)

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