Milano 16 Maggio – Il Cyberbullismo è una cosa grave. Uccide, talvolta. E deve essere socialmente prevenuto. Quello che, però, a nessun costo deve avvenire è che la lotta la prenda in mano lo Stato, perché altrimenti rischiamo tutti e moltissimo. Non ci vuol molto a capirlo, e la Boldrini ne è l’esempio perfetto: si inizia giustamente a lottare contro i violenti da tastiera e si finisce a censurare chiunque non si allinei. E la tendenza, quando si applica ai giovanissimi, può fare disastri generazionali. Per fortuna da tutti noi il fronte della repressione è talmente ridicolo da essere, per il momento, la parodia di se stesso. Ieri a Milano, ad esempio, è andata in scena una sitcom (pagata da noi, ovviamente) in cui trentamila ragazzi hanno ascoltato una conferenza (in streaming, per la maggior parte) con base a Milano, sedi in altre tre città e sul palco Paolo Ruffini. Tema: no all’odio online. Conduce Paolo Ruffini. Sì, il comico. Perché? Boh, ma voi fidatevi. Si doveva lanciare un decalogo. Il cui punto due recita (si è ciò che si comunica) ed il punto sei (le parole hanno conseguenze), nonché il punto nove (gli insulti non sono argomenti), sono stati così magistralmente affrontati:
“Non fatemi dire parolacce perché ci sono questi signori in giacca e cravatta che non vogliono dica parolacce, ma mi sembra assurdo non dirle – ha spiegato il comico – perché voi le dite – ha detto rivolgendosi ai ragazzi – e mettere una distanza tra me e voi mi sembra una stronzata”. “Chiedo scusa alla suora, al preside e alle istituzioni, al ministro, a tutti, ma fatemi dire le parolacce. Fatemele dire”. E poi. “Posso dire un’altra cosa? La volgarità non è dire cazzo, ma la violenza”. Rivolto a un ragazzo che aveva affermato sul palco che provava fastidio per i gay, da cui era nata la discussione, Ruffini ha detto: “Non è un giudizio su di te, ma posso dirti che è più volgare uno schiaffo che non dire vaffan…”.
Direi che era tutto molto commovente. Trieste ha pure staccato lo streaming. La Fedeli aveva le orecchie tappate, ma Ruffini le è piaciuto moltissimo. Sul palco sono andate in scena le solite e melense sceneggiate, tipo il ragazzino omofobo che si confronta col ragazzino sedicenne gay, perché nessuno deve aver avvisato gli sceneggiatori che quella battaglia ormai l’hanno già vinta. Ecco, questa accozzaglia non genera paura, ovviamente. Solo un’infinita tristezza. Dei ragazzi di oggi non hanno, ovviamente, capito nulla. È inutile discutere del bon ton a tavola, se continuate a servire loro cibo per cani. È inutile insegnargli il galateo della conversazione, se non gli spiegate che l’odio esiste, è un fenomeno umano e va incanalato, razionalizzato, arginato e processato. Odiare non è un sentimento diabolico. Persino la Bibbia ci insegna ad odiare il male. L’esilio di questa emozione di base dalla società moderna può solo creare mostri. Perché, se nascondete l’orrore in cantina, prima o poi, come ci insegna l’horror, esso scapperà e farà dei morti. Inoltre la tentazione del Ministro, della Boldrini e di tutti i maggiorenni in teatro, lato pubblico, è di tagliare gli angoli e quando in cantina non puoi metterci nulla di metaforico, di relegarci i ragazzi più difficili. E per difficili, si intende, naturalmente, quelli che rifiutano di piegarsi a questa dittatura del buonismo.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,