Milano 22 Maggio – Migliaia di telefoni nei sistemi informatici di Telecom Italia risultano associati a persone del tutto ignare di risultarne intestatarie: sia nelle fatturazioni commerciali (tanto da essere addirittura dichiarati «morosi» a propria insaputa), sia — rischio ancor più pericoloso — nella banca dati giudiziaria interrogata dalla magistratura per le intercettazioni. Defaillance commerciale e falla nella sicurezza costano a Telecom una censura da parte del Garante della Privacy, che, oltre ad annunciare sanzioni amministrative, le ordina tre prescrizioni fra i 30 e i 120 giorni di tempo: bonifica degli errori nel sistema informatico; avviso agli utenti interessati; e apposite annotazioni che lascino traccia nella banca dati giudiziaria.
Tutto muove da un abbonato che dal 2011 comincia a essere inseguito da società di recupero crediti. Alla fine capisce perché: è ignaro di essere «moroso» in quanto al suo codice fiscale risultano attribuiti da Telecom 826 telefoni. Il consumatore sporge reclamo al Garante della Privacy, e Telecom spiega a entrambi che è colpa di una trascurabile «pregressa anomalia software» nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema gestionale «tra gennaio 2003 e febbraio 2004».
A così tanti anni di distanza? Il Garante fa una ispezione a dicembre 2016. E l’esito è sorprendente. Le erronee associazioni «hanno interessato un novero più ampio di clienti, allo stato non precisamente delimitabile», come si intuisce da una ricerca su abbonati a campione negli ultimi 10 anni. E siccome di queste «rilevate anomalie la società non è stata in grado di dar conto», lo scorso 25 gennaio il Garante lancia un altro campione, stavolta sui codici fiscali associati a più di 5 telefoni: già così affiorano disallineamenti (nei dati di intestatario-cliente-fatture) «riguardanti 644 clienti complessivamente intestatari di oltre 7.000 linee». Numero per difetto: non solo perché bisognerebbe vedere anche gli ignari intestatari da 5 linee in giù, e non solo perché non sono compresi gli elenchi di San Marino, ma soprattutto perché la società spiega che analoghe verifiche «non sono praticabili per clienti non più Telecom Italia qualora il cliente sia passato ad altro operatore». Al danno arrecato a chi è stato dichiarato «moroso» a causa degli erronei dati illecitamente comunicati da Telecom a terzi, si somma anche un più generale problema di sicurezza collettiva e garanzie individuali: gli asseriti errori nel travaso informatico 2003-2004 (che «la società non è stata in alcuna misura in grado di chiarire, non avendone identificata l’eziologia») si propagano infatti anche nel «Rac», cioè nella banca dati giudiziaria interrogata per i tabulati e le intercettazioni, «sistema la cui delicatezza è di tutta evidenza essendo preordinato a consentire la corretta effettuazione di verifiche da parte di polizia e magistratura».
Traduzione: ci sono migliaia di utenze le cui comunicazioni, in caso di intercettazione, possono essere erroneamente attribuite ai dati anagrafici di Tizio quando invece a utilizzarle non è affatto Tizio. E il Garante lamenta anche che, quelle volte in cui Telecom su reclamo di qualcuno ha aggiornato i dati reali, per esempio volturando la linea, non ha però annotato che prima ci fosse stato un errore, «lasciando così desumere la pregressa titolarità delle numerazioni in capo ai soggetti interessati dai disallineamenti». Sicché ad avviso del provvedimento del Garante, relatrice Augusta Iannini, «la condotta negligente e omissiva tenuta dalla società, che anche in tempi successivi alla segnalazione di plurimi malfunzionamenti non è stata in grado di far luce sulle ragioni oltre che di porvi rimedio, evidenzia una poco attenta gestione dei sistemi che rappresentano i gangli vitali della propria infrastruttura informativa, interessando direttamente la clientela». (Corriere)
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