Milano 23 Maggio – L’elezione di Trump ha avviato uno shock molto più grave di quanto non si pensasse. Trump è considerato un elemento virale dall’establishment occidentale. Si poteva dare credito ad una maggiore elasticità del main power, convergenza della rivoluzione permanente del permissivismo e dei diritti umani con l’autoritarismo implicito della globalizzazione finanziaria. Invece no. E’ in corso il rigetto della confusionaria bolla di vago conservatorismo, maschilismo accennato, difesa nazionalista del capitalismo materiale, rappresentata da Trump. Una reazione che è forse più pericolosa del danno, perché evidenzierebbe l’intolleranza verso i risultati elettorali non graditi. Attualmente l’offensiva che potrebbe portare anche ad un impeachment senza dolo, ha due frecce al suo arco, anche se le punte sono weapons.
Le notizie fake ed il dominio russo dei partiti populisti.
Non si sa bene da quando si sia fatto largo in politica il termine fake. Nel 2006 la Treccani citava il termine come sostituzione di contenuti pubblicitari con slogan di protesta antiaziendali; ancora più indietro nel tempo lo si usava per le truffe d’identità virtuale sulla rete. In realtà di fake ne abbiamo avuti e ne abbiano a milioni. Si pensi a tutto il racconto del peace keeping post cold war, oppure alle vicende italiane sul nucleare o ancora alle buone sorti e progressive della rivoluzione digitale o dell’ambientalismo. Solo però dall’autunno della vittoria di Donald, un intero schema politico è stato definito fake. La contrarietà alle disposizioni delle ultime precedenti presidenze Usa non è un’opinione ma fake; lo scetticismo nei confronti di femminismo o ambientalismo non è un opinione ma fake.
Ancora più incredibile, soprattutto dall’avamposto italiano, appare il dibattito sul potere magnetico attribuito alla Russia. Secondo l’allarme lanciato da Obama, ancora ad urne calde, Mosca controllerebbe i partiti revanscisti e nazionalisti ma anche gli ultimi avamposti delle sinistre più o meno comuniste di tutta Europa, oltre che le minoranze moraliste bigotte e le masse dei bianchi revanscisti impoveriti di casa sua, nonché tutti gli hacker ed i cracker del mondo impegnati in cause antiamericane. Così il cofondatore di Twitter, Williams, si scusa per il suo uccellino e l’attuale status di Internet che ha permesso a Trump di avere 30 milioni di follower e di vincere. Vi ricordate gli hacker contestatori del sistema di Autonomy? A dieci anni di distanza si scopre che erano tutti agenti del Kgb.
E’ una sorta di maccartismo alla rovescia, impazzito perché non può credere di aver perso il comando politico, militare e diplomatico nella guerra civile siriana. Così come quello originale, diede di matto per il furto dei segreti dell’atomica. Allora si sottovalutarono gli effetti della stretta campagna di amicizia russo americana inaugurata dallo stalinista Roosevelt, Oggi si sottovalutano gli effetti di anni di sbagli diplomatici, di spionaggi unilaterali, di problemi economici e sociali interni irrisolti. E’ più semplice scaricare tutte le colpe sull’eterno rivale di sempre, paradossalmente ingigantendone le capacità di influenza globale.
Il tema è complesso e necessita di un esame specifico punto per punto.
Fin d’ora è però possibile vedere che in fondo al tunnel della rieditata guerra fredda non c’è Mosca, ma l’Europa. Un continente che si avvicina al secolo dalla sua ultima debacle e dalla quasi autodistruzione. Troppo tempo però è passato da quegli eventi perché il continente del 25% del Pil mondiale continui nell’eterno standby dell’immobilismo geostrategico, impossibilitato ad espandere la sua influenza a Sud, ingabbiato nella camicia di Nesso dell’amicizia bloccata ad Ovest e dell’inimicizia ad Est. Medio oriente, energia, Mediterraneo, immigrazione, finanza danno le convulsioni al’Europa che di questi temi e problemi non può occuparsi ma solo essere ricettacolo delle conseguenze. In fondo, il grido al lupo, al lupo, al russo, al russo è l’estremo tentativo di mantenere la crisalide atlantista. Trump, tra tutte le sue colpe fake, ha soprattutto quella di sembrare disposto a lasciar perdere la fune dalla sua sponda. La corda atlantica, troppo tesa lato Usa per un verso e troppo lasca lato Ue, conviene sempre più solo ad una parte. Tra le tante incertezze ed i tatticismi, anche chi ha fatto atto di fede nell’Occidente potrebbe volerlo coniugare diversamente senza per questo cadere da Ponente nel Levante.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.