L’assessore, organizzatore del corteo, è l’essenza del politico «di lotta e di governo». Vicino ai gruppi lgbt, chiede cittadinanza facile per tutti e conquista consensi, dalla Bonino a don Colmegna.
Milano 24 Maggio – L’assessore del Comune di Milano, organizzatore del corteo, è l’essenza del politico «di lotta e di governo»
Forse vi ricorderete di lui per romanzi imperdibili come Maledetto amore mio, L’eterno giovedì e Dopo i lampi vengono gli abeti. O forse ve ne sarete innamorati in un vecchio video che gira in rete, in cui lo si vede biascicare un po’ al rallentatore contro l’arresto per droga di due ragazzi (<<Sembra Brad Pitt», titolava Il Secolo XIX,un po’ come Alessandra Moretti che trovava somiglianze fra Pier Luigi Bersani e Cary Grant).
Maniche di camicia
Oggi Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano, non scrive più romanzi e non ha più l’immagine scapigliata del giovane attivista, ma è diventato la figura centrale della sinistra milanese. La manifestazione pro immigrati di sabato è stata una sua scommessa. Il più borghese e paludato Beppe Sala, all’inizio tiepido, vi è stato tirato in mezzo. È finita con il sindaco in piazza con fascia tricolore. E, al centro della scena,lui, Majorino, a tenere banco sul palco, in maniche di camicia e con erre moscia d’ordinanza.
Tra il rampantismo alla Matteo Renzi e il grigiore burocratico di Mdp, c’è lui, Majorino, la sinistra di lotta e di governo, ideologica quanto basta ma anche furba, cerchiobottista e sfuggente fino al momento di accelerare.
Quando ha visto la manifestazione pro immigrazione di Barcellona, non gli è parso vero: bisognava portarla anche in Italia e ridare alla sinistra l’orgoglio di essere sé stessa, quella che ama l’invasione senza infingimenti.
In FGCI
E ora è già passato all’incasso. Su Facebook, infatti, detta l’agenda: ora, dice, «ci butteremo nella raccolta di firme per l’abolizione della Bossi-Fini (e per molto altro) contenuta nella campagna “Ero straniero”. Costruiremo la conferenza d’autunno (già annunciata al Forum delle politiche sociali) sulle scelte riguardanti l’immigrazione e l’integrazione e, proprio su questo, solleciteremo il governo ad aprire un tavolo di confronto vero per condividere scelte nuove e correggere errori antichi». Non solo: «Insisteremo perché il Parlamento dia una risposta politica alla piazza di ieri innanzitutto attraverso una cosa da fare subito: l’approvazione della legge sulla cittadinanza». Un piccolo passo verso il baratro per la nazione, un grande passo verso il successo per Majorino.
Un buon modo per festeggiare i 30 anni di militanza: era il 1987, infatti, quando l’allora quattordicenne attivista milanese entrava nella Fgci, la Federazione dei giovani comunisti italiani. Giusto un paio d’anni di comunismo, poi, ahimé, cadde il Muro di Berlino. Intanto Majorino si diplomava e scendeva a Roma per iscriversi alla facoltà dell’intellighenzia rossa per eccellenza:sociologia. Laurea non pervenuta, ma gli anni universitari non furono buttati. Nel frattempo, infatti, Majorino era diventato un liderino nella sinistra studentesca: tra il 1993 e il 1994 è stato tra i fondatori del sindacato giovanile Unione degli studenti, di cui è stato il primo presidente nazionale.
Nel 1998 è diventato consigliere delegato alle politiche giovanili dell’allora ministro della Solidarietà sociale Livia Turco. Nel 2006 è stato eletto per la prima volta nel Consiglio comunale di Milano, nella lista dell’Ulivo,diventando capogruppo nel 2008. Nel 2011 è stato rieletto a Palazzo Marino con il Pd ed è diventato assessore nella giunta di Giuliano Pisapia. Nel 2015 si è candidato alle primarie di centrosinistra e ha sfidato Sala e Francesca Balzani arrivando terzo (memorabile la sua foto con il pugno chiuso il giorno delle primarie). Con Sala avrebbe potuto fare il vicesindaco, ma è stato riconfermato nel ruolo ricoperto sotto Pisapia.
Cambiano i sindaci, cambiano i nomi dei partiti, ma la sua mission resta la stessa: essere al servizio dei più deboli, dice. «E un innamoramento per la loro dignità che a me è sempre sembrato genuino» , racconta Gabriele Dadati, suo editor per Laurana, l’editore dei suoi romanzi. Sei più deboli appartengono a qualche minoranza di razza o di genere, meglio ancora.
Larghe intese
Majorino non scopre gli immigrati con la manifestazione di sabato. Già in passato si era fatto notare per la proposta di retribuire con 400 euro al mese i milanesi che avessero ospitato un profugo in casa loro.
Farina del suo sacco è la Casa dei diritti, meglio se degli altri, ovviamente. Durante la campagna per le primarie disse: «Vorrei nella mia giunta un assessore espressione del movimento lgbt», salvo poi chiarire che non si riferiva a una «quota gay», perché in effetti messa così pareva brutto. Sempre alla Casa dei diritti, sua estensione ideologica pagata con i soldi pubblici, ha parlato insieme con Francesca Pardi, l’autrice di libri gender per bambini come Piccolo uovo.
Attorno a questa agenda ideologica, Majorino riunisce tutto e il contrario di tutto: da Emma Bonino ai preti politicizzati come don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità ed editorialista di Repubblica. Prove tecniche di nuova sinistra.
Adriano Scianca (La Verità)
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