Milano 3 Giugno – Anticamente i milanesi combatterono una guerra contro Federico II che ha dell’incredibile a causa dell’arma utilizzata: l’acqua. Tale guerra fu inaugurata nel 1212 quando i milanesi attaccarono l’imperatore costringendolo ad attraversare il fiume Lambro per mettersi in salvo. Come scrive il Carobbio nel libro ‘Milano il carroccio contro l’impero’, in quell’occasione l’imperatore dovette bagnarsi le ‘sarambule’ (cioè le braghe); in risposta, bandì i milanesi dall’impero.
Nell’aprile del 1225 Federico II convocò un’assemblea, ma furono poche le città a presentarsi; e Milano non era tra queste: lui lo considerò un affronto, e poiché il Papa parteggiava per le città ribelli, Federico II affidò a un vescovo compiacente il compito di scomunicare in blocco tutti i disertori. In risposta, il 6 marzo 1226, gli si oppose la Seconda Lega Lombarda e Papa Gregorio IX si unì ad essa. Le città lombarde furono felici di avere dalla loro parte un Papa che nutriva odio per il loro stesso nemico.
Per evitare di doversi nuovamente bagnare le ‘sarambule’, Federico II decise di avanzare verso Milano in groppa a un elefante munito di apposito baldacchino. Purtroppo per lui, però, il fato aveva deciso di farlo passare alla storia come l’imperatore perseguitato dall’acqua: le piogge si susseguirono con insistenza in quell’autunno del 1237 inzuppando l’esercito e intristendo il paesaggio.
A Cortenuova sull’Oglio, furono i milanesi ad avere la peggio cadendo in un’imboscata: l’esercito imperiale aveva lasciato intendere che si ritirava in attesa della più favorevole primavera ma, nel momento più critico, le forze imperiali sbucarono dalla boscaglia come diavoli dall’inferno. Inevitabilmente, i milanesi furono sopraffatti. Tuttavia rifiutarono la resa incondizionata: decisero di combattere fino alla morte e fu una saggia decisione perché ne uscirono vincitori e furono pochissimi a perdere la vita.
Fu il Papa l’artefice indiretto di tale successo. L‘aiuto del pontefice giunse del tutto inaspettato: per pura convenienza terrena, si capisce. Papa Gregorio IX, che non intendeva unirsi alla Seconda Lega Lombarda solo ideologicamente, innanzitutto decretò che quella contro l’imperatore poeta, eretico, perverso e scomunicato, doveva essere una ‘crociata santa’ e non esonerò neppure gli ecclesiastici dal combatterla. Questi ultimi parteciparono alla battaglia con la spada in una mano e la croce nell’altra.
Uno di loro, inviato speciale del Papa come regalo ai milanesi per organizzare la Seconda Lega Lombarda contro l’imperatore scomunicato, ebbe l’ispirazione di unire alla croce e alla spada anche l’elemento che più abbondava nella pianura padana: l’acqua per l’appunto.
L’inviato speciale che doveva guidare la lotta contro quel diavolo d’imperatore che era Federico II, aveva lo stesso nome del Papa: Gregorio da Montelongo.
Fu sotto la sua direttiva che mentre l’imperatore se ne stava accampato a Lodi, cittadina a pochi chilometri da Milano, i milanesi gli tolsero letteralmente la terra da sotto i piedi allagando sia la città sia la pianura circostante. L’imperatore dovette abbandonare in fretta e furia Lodi impantanata, con tutto l’esercito al suo seguito, e accamparsi a Locate; fu però seguito e bloccato da un canale scavato per l’occasione. Determinato a non farsi immobilizzare dall’acqua, né da un canonico che avrebbe fatto meglio a ingegnarsi per salvare le vite delle persone piuttosto che annientarle, l’imperatore decise di oltrepassare il blocco ad ogni costo. Non volendo però fare la fine di suo nonno che morì guadando un fiume in terra straniera, inviò alcuni dei suoi soldati per stabilire dove fosse il punto più sicuro per attraversare il canale: lui intanto avrebbe atteso all’asciutto, o almeno così sperava. L’acqua, infatti, sotto la direttiva dell’inviato papale, iniziò a salire implacabile fino a coprire tutta la pianura e costrinse l’imperatore a sloggiare senza fare troppo lo schizzinoso: fu costretto nuovamente a bagnarsi le braghe con tutto il suo seguito. Successivamente il campo imperiale fu allagato nei pressi di Casorate, grazie a dei canali nei quali fu immessa l’acqua del Naviglio Grande.
I successi ottenuti incitarono quel rappresentante di Cristo inviato dal Papa, e ottimo stratega di guerra, a ingegnarsi sempre più nella sua battaglia acquitrinosa. Il Carobbio racconta che in un’occasione volle costruire una palizzata per mettere nuovamente a mollo l’esercito imperiale e chiese le travi alle case e ai cascinali dei dintorni. E chi mai avrebbe negato aiuto a un servo di Cristo impegnato a combattere un diavolo d’imperatore?
I proprietari dei cascinali supplicavano: “Prendetevi anche i carri, i buoi, tutto quello che volete, ma fermate quei demoni scatenati”. Era autunno, e le piogge si riversavano abbondanti; i fiumi in piena rischiavano di straripare anche in assenza dell’ira dei milanesi, ma essi furono ben lieti di sollecitare la loro naturale tendenza. Il territorio divenne un vasto acquitrino intransitabile: i carri s’infossavano e i fanti affondavano nel fango. L’acqua arrivava al ginocchio, ma di tanto in tanto, parte dell’esercito s’imbatteva in qualche canale, per nulla visibile sotto la coltre uniforme d’acqua, e vi precipitava dentro. Qualcuno morì persino annegato.
L’imperatore fu costretto a ritirarsi ma il suo campo fu nuovamente allagato facendo deviare questa volta il fiume Po. All’imperatore perseguitato dall’acqua, non restò infine che sciogliere l’esercito. Gli armamenti imperiali furono abbandonati nei terreni impraticabili. Milano vinse così contro l’impero, e il merito fu dell’acqua!
Quando al combattivo Papa Gregorio IX succedette Innocenzo IV, Federico II tentò di destabilizzare la Seconda Lega Lombarda chiedendo espressamente al nuovo Papa di abbandonarla, ma questi rispose un secco no. L’ira dell’imperatore si riversò dunque contro il Papa e lo costrinse a fuggire da Roma meritandosi però una nuova scomunica. Inoltre il Papa dichiarò Federico II decaduto quale imperatore.
Federico II, avvezzo a ogni sorta di maledizione e scomunica, disse in tono di sfida: “Il pontefice mi ha privato della corona: vediamo se è vero”. Poi si fece portare la corona imperiale e se la pose sulla testa. Nessun fulmine dal cielo si scagliò contro di lui. Per dare enfasi al suo gesto, fece infine cacciare frati e preti dal reame (tranne ovviamente quelli scomunicati che erano dalla sua parte); molti furono impiccati o crocefissi.
Federico II, che era riuscito a prevalere sul Papa, non riusciva proprio a credere di non poter avere ragione dei milanesi. Decise di riprovare l’impresa ma, per precauzione, tornò nella Pianura Padana nel tempo in cui i fiumi erano in secca. L’esercito imperiale assalì Morimondo, nei dintorni di Milano, e riuscì a distruggerla. Incoraggiato dal successo riscosso, l’imperatore si fece coraggio e si avvicinò al Ticinello, cioè il Naviglio Grande, e attaccò Abbiategrasso collocata sulle sue sponde: pensava di avere così la strada aperta verso Milano, ma le sue speranze tornarono a spegnersi quando si trovò nuovamente di fronte Gregorio da Montelongo che il Papa aveva rifiutato di richiamare a sé. L’imperatore si era accorto troppo tardi che non avrebbe dovuto avvicinarsi alle fonti d’acqua!
Strano che quando ordinò di impiccare e crocifiggere i prelati, all’imperatore non fosse venuto in mente di andare a scovare primo fra tutti il legato apostolico. Ora l’ecclesiastico si trovava proprio d’innanzi a lui che, per sicurezza, aveva pensato bene di proteggersi facendo scavare intorno al suo campo un ampio fossato: di certo l’ecclesiastico si sentiva più protetto dall’acqua che dal fuoco divino che tardava a scender su quel diavolo d’imperatore.
Era evidente che l’acqua portava sfortuna solo a Federico II perché verso oriente, la parte dell’esercito al comando di suo figlio Enzo e di Ezzelino, era riuscito a superare indenne la barriera del fiume Adda e il canale della Muzza. Lo scontro avvenne nei pressi di Gorgonzola. Fatto prigioniero Enzo, gli fu intimato di urlare al suo esercito di cessare il combattimento e di tornarsene oltre il fiume Adda. Inoltre dovette giurare che né lui né suo padre, avrebbero più impugnato alcuna arma contro Milano. Infine, dopo un programmato scambio di prigionieri, Enzo fu lasciato libero.
Intanto, l’imperatore ignaro della promessa che il figlio aveva fatto dall’altra parte della città, abbandonò Abbiategrasso al terribile legato apostolico e si diresse verso Boffalora. Anche a Boffalora però erano arrivate le voci del gran successo del legato apostolico e della sua strategia; cosicché anche Boffalora, prudentemente, si era affrettata a costruire il suo bel canale profondo. Dopo tre giorni l’imperatore dovette confrontarsi con l’operato del legato apostolico anche a Casterno. Infatti, deciso a non perdere nessuna delle mosse dell’imperatore, il legato lo aveva seguito di nascosto. Anche qui Federico II cercò di oltrepassare il canale ma il legato apostolico riuscì a ricacciarlo indietro. Infine, stremato dai milanesi, dal legato apostolico e dall’acqua padana, l’imperatore dovette confrontarsi anche con la neve, la solidificata acqua giunta per volere del cielo. Era evidente che anche l’onnipotente Iddio preferiva riversare acqua sull’imperatore scomunicato anziché saette di fuoco. Per l’imperatore, però, anche questo era troppo; l’esercito imperiale abbandonò il sogno di gloria e si ritirò. Milano aveva vinto un’altra volta l’impero grazie all’acqua padana.
Dopo tali successi, Gregorio da Montelongo utilizzò in altre occasioni la sua vincente strategia. In quanto alla città di Milano, già prima di allora considerava l’acqua una benedizione dal cielo. I navigli tornavano utili per ogni cosa: quale mezzo d’irrigazione, di protezione e di navigazione.
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Dal libro ‘All’ombra del castello’ e ‘Benvenuta a Milano, un intreccio di voyeurismo, amore, antichi castelli e vie d’acqua’ di Michela Pugliese.
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