Milano 6 Giugno – Medhat Shafik è il protagonista della prima esposizione d’arte negli spazi del piano terreno dell’edificio B2 del Politecnico di Milano nel Campus Bovisa. Con questa mostra si inaugura uno spazio dedicato alle esposizioni presso il Campus milanese del Design. Shafik espone una installazione site specific intitolata “Palmira. Conflitti e tempo sospeso”, a cura dello storico dell’arte Pietro C. Marani, che intende “valorizzare gli spazi comuni dell’Ateneo, mettendo in risalto artisti contemporanei le cui opere costituiscono un motivo di riflessione per gli studenti e il pubblico”. L’iniziativa nasce in rete con altre istituzioni e soggetti del sistema dell’arte e del mondo della cultura, in questo caso in collaborazione con la Galleria Marcorossi artecontemporanea che presenta le opere del ciclo Palmira nelle sue sedi di Verona, Milano (via Garibaldi 18a fino al 24 giugno) e Pietrasanta e con la GAM di Verona che a Palazzo della Ragione (dal 6 giugno al 30 settembre) espone anch’essa, per il progetto prima pAReTe, curato da Patrizia Nuzzo. In una dimensione astratta avulsa dal naturale scorrere del tempo e dalle controversie religiose e politiche, Shafik (El Badari 1956),attua una ricostruzione dell’antico splendore di Palmira, luogo di incontro tra Occidente e Oriente, meta agognata per i viaggiatori del XVIII secolo che la battezzarono capitale dell’Estetica del sublime. Il più celebre testo sulle rovine palmirene, “Le rovine” del politico francese Volnay, ispirarono l’impresa in Egitto di Napoleone.
«Ricerco il recupero simbolico dei luoghi archeologici, che sono la memoria dell’uomo, l’essenza della civiltà», racconta l’artista. «Vorrei ricostruire metaforicamente Palmira, che può essere ovunque, proprio perché per me simboleggia il recupero della civiltà, l’onda lunga del nostro essere umani e nel contempo la sua distruzione. Palmira è di tutti noi, anzi, Palmira siamo noi e non deve essere distrutta. Il senso della mostra e dell’installazione creata per il Politecnico è che noi non dobbiamo subire l’abisso, la barbarie e la distruzione portate dai conflitti, ma emanare luce». Medhat Shafik è nato in Egitto nel 1956. Dal 1976 vive e opera in Italia ed è indicato nel sito del Metropolitan Museum di New York come uno dei più interessanti artisti del mondo arabo del XX secolo. La sua opera “è un incontro felice tra due culture” scrisse di lui Pierre Restany. La sua consacrazione arrivò nel 1995 alla Biennale di Venezia e nel 2011 ha esposto alla Fondazione Stelline di Milano in una personale curata da Arturo Carlo Quintavalle. Pierluigi Panza (milano.corriere.it)
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