Milano 9 Giugno – E’ stato diffuso ieri il rapporto annuale del Greco (Gruppo di Stati contro la corruzione), organo del Consiglio d’Europa.
Come già anticipato a gennaio, l’Italia è tra i Paesi che rispettano meno gli standard anti corruzione fissati a livello europeo.
In cinque anni, solo il 33% delle raccomandazioni in tema di anti corruzione hanno trovato riscontro attraverso l’introduzione di nuove fattispecie di reati. Peggio solo Bosnia (0%) e Portogallo (17%). Sono stati fatti progressi, invece, sulla trasparenza del finanziamento dei partiti.
Su questo fronte, segnala il rapporto, l’Italia ha implementato pienamente il 71% delle raccomandazioni per aumentare la trasparenza del finanziamento dei partiti politici, e parzialmente le restanti, e si trova quindi in una posizione migliore di altri grandi Paesi europei, come Francia e Germania, che hanno implementato pienamente meno del 40% delle raccomandazioni del Greco.
Gli Stati secondo Greco “hanno la tendenza a fare troppo affidamento sugli elementi repressivi della lotta alla corruzione, e a sottovalutare troppo spesso la forza ed efficacia dei meccanismi di prevenzione, che ora sono o troppo deboli o del tutto assenti” si legge nel rapporto annuale. La raccomandazione è quella di introdurre una serie di misure preventive, come i codici di condotta ed etici per i parlamentari e i magistrati, allo scopo di evitare varie forme di conflitto d’interessi.
Sul punto il Greco esprime grande preoccupazione per l’Italia. In particolare per la pratica che vede i magistrati passare alla politica e poi, magari, tornare alla magistratura. Il rapporto evidenzia “il rischio inevitabile, reale o percepito, che la magistratura sia politicizzata” e la necessità di porre dei limiti “trovando un equilibrio”.
Se “i magistrati non devono essere isolati dal resto della società, ne privati del diritto a partecipare alla vita sociale e politica”, si legge nel rapporto, allo stesso tempo, “date le particolarità della funzione” è necessario che la questione sia regolamentata: “Bisogna trovare un giusto equilibrio tra quanto i magistrati possono essere coinvolti nella società e la necessità per i giudici e tutta la magistratura di essere, e essere visti, come indipendenti e imparziali nell’espletamento delle loro funzioni”.
Il disegno di legge che dovrebbe regolamentare la materia è fermo da aprile in Commissione giustizia al Senato dopo essere stato approvato, fra le polemiche, alla Camera.
Il testo approvato dalla’Aula di Montecitorio, a detta di molti, è insoddisfacente avendo subito un rilevante “annacquamento”, rispetto alla disciplina originariamente prevista e votata all’unanimità al Senato e anche rispetto alla delibera del Consiglio superiore della magistratura sul tema dei magistrati in politica.
Fra i punti più controversi, come evidenziato in particolare dai parlamentari di Forza Italia Renato Brunetta e Nitto Palma, la norma transitoria che regola il rientro in magistratura delle toghe attualmente in politica. Nella versione originaria, il ddl prevedeva la possibilità di rientrare nell’Avvocatura dello Stato, nel Consiglio di Stato, nella dirigenza amministrativa, oppure il ritorno alle stesse funzioni in un territorio diverso. La disposizione transitoria approvata alla Camera prevede che, terminato il loro mandato politico, i magistrati possano andare alla Procura generale della Cassazione, alla Corte di Cassazione o alla Procura nazionale antimafia. Una “corsia preferenziale” per i magistrati che attualmente fanno politica visto che si tratta di posti molto ambiti e dove si accede per concorso.
La legge, poi, consentirebbe al magistrato di rientrare in servizio nel territorio di provenienza solo un paio di anni dopo la cessazione dell’attività politica.
Eliminata, poi, la causa di astensione per la quale il magistrato che rientrava in attività non poteva, per un certo numero di anni, giudicare i procedimenti in cui erano coinvolti “politici”.
Con la legislatura agli sgoccioli e con la congestione dei lavori in Commissione, comunque, sarà molto difficile che si arrivi ad una approvazione definitiva del testo.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.