Milano 18 Giugno – Lo chiamano ius soli. E’ l’eutanasia dell’Italia. C’è qualcosa di surreale nell’improvvisa fretta con la quale il Senato tenta di approvare una delle peggiori idee di Matteo Renzi. Regalare la cittadinanza a 800.000 immigrati non può essere un’emergenza di questo Paese. E continuare con non meno di 60.000 nuovi «concittadini» all’anno, fatto salvo il prevedibile turismo a scopo procreativo, sembra il modo migliore per predisporre i preparativi per l’eutanasia dell’Italia.
La cultura? Ognuno si tiene la propria. I costumi? Anche. La religione? Per carità, e chi la tocca. I valori? Ma dai, ancora con queste menate. Il senso civico? Ci pensano i vigili urbani, così facciamo pure cassa. Parafrasando Forrest Gump, «italiano è chi italiano fa». Anzi,neppure quello, perché se uno vuole continuare a imporre il velo islamico alla moglie lo può fare tranquillamente. Con in tasca il passaporto italiano. Perché con lo ius soli sono tutti italiani: basta nascere entro i confini di quella che – ancora per poco – chiameremo patria.
C’è qualcosa di surreale nell’improvvisa fretta con la quale il Senato tenta di approvare una delle peggiori idee di Matteo Renzi. Regalare la cittadinanza a 800.000 immigrati non può essere un’emergenza di questo Paese. E continuare con non meno di 60.000 nuovi «concittadini» all’anno, fatto salvo il prevedibile turismo a scopo procreativo, sembra il modo migliore per diventare come la Turchia di Erdogan.
Tirano in ballo le solite motivazioni buoniste, come il fatto che migliaia di poveri bambini che vivono qui da anni aspetterebbero la cittadinanza italiana con ardore. E i più colti citano il gravissimo caso del calciatore Mario Balotelli, che per giocare con la Nazionale azzurra ha dovuto aspettare la maggiore età. La legge del 1992 prevede infatti che lo straniero nato in Italia, e che vi abbia riseduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, divenga cittadino italiano se dichiara di voler prendere la cittadinanza entro un anno dal compimento dei 18 anni.
Con le nuove norme, basterà essere nati in Italia (ìus soli) e che almeno uno dei genitori sia in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo. Oppure, essere arrivati in Italia prima dei 12 anni e aver seguito un «percorso formativo di almeno 5». Questa seconda fattispecie, si chiama pomposamente, «ius culturae», e l’aveva già demolita il politologo Giovanni Sartori, che in un’intervista del febbraio 2014 disse a chi scrive: «Ma davvero vogliamo credere che bastino 5 anni alle elementari per fare un cittadino italiano? Per essere un cittadino italiano devo aver consapevolmente accettato il principio di separazione tra Stato e Chiese e aver rigettato il diritto teocratico o di Allah ». E Sartori concludeva con una domanda ancora attuale: «Ma come si fa a dare la cittadinanza dopo 5 anni di scuola, senza distinguere se un bambino è islamico?»
Sartori, morto lo scorso aprile, non era l’ideologo di Casa Pound, ma scriveva sul Corriere della Sera e insegnava negli Stati Uniti, ovvero nel Paese che ha mantenuto nei secoli lo ius soli. Insomma, sapeva di che parlava. L’idea, tipicamente americana, che dare la cittadinanza in modo automatico a chi nasce in loco sia un modo per integrare è smentita dai fatti. Mentre il Regno Unito ha mollato lo ius soli nel 1983, negli Usa ci sono tante comunità etniche isolate l’una dall’altra e che, di generazione in generazione, sono perfino tentate da una «regressione», Che cosa tiene davvero insieme un «latino»di Boca Raton, un wasp di Boston e cinese di Manhattan? La bandiera a stelle e strisce, l’esercito e l’industria bellica (la prima della nazione). La sinistra italiana dovrebbe essere parecchio scettica di fronte a un’inclusione senza vera integrazione, che finisce per ridursi a feticismo della bandiera, militarismo e comune passione per i droni.
Quando il leader della Lega, Matteo Salvini, afferma che con lo ius soli cade il principio secondo cui «la cittadinanza italiana va desiderata e conquistata», usa un argomento che dovrebbe essere valutato con attenzione da un ampio fronte politico. Da Carlo Azeglio Ciampi in poi, gli ultimi presidenti della Repubblica hanno battuto in modo instancabile sul tasto del patriottismo, e ora dovremmo regalare la cittadinanza a casaccio e nel pieno di un’ondata migratoria che cambierà i connotati dell’intera Europa? Ma se queste stesse parole le avesse pronunciate Giorgio Napolitano, e non il temibile uomo con la ruspa non staremmo tutti a dire che ha ragione?
La cittadinanza implica una condivisione di valori che sono alla base del sentimento di appartenenza e dell’integrazione di una persona in una comunità nazionale. Andate in un capannone di Prato, fra i cinesi che lavorano in regime di semi-schiavitù, e immaginate di dare la cittadinanza italiana a tutti i bambini, presenti e futuri. Vi sembra che si possa parlare di «integrazione»? Si possono dare documenti e pezzi di carta e timbri vari, ma un ragazzo, un uomo con determinate idee, abitudini e convinzioni, resterà sempre sé stesso. Non solo, ma se appartiene a un’etnia o a una religione in qualche modo «conquistatrice » (non è uno scandalo, lo siamo stati anche noi), sarà lui a non volersi integrare. E visto che siamo in tema di conquiste, come non ricordare che la stragrande maggioranza dei terroristi che ha colpito in Occidente in nome dell’Isis è figlia di immigrati di seconda o terza generazione?
Sostituire i giovani con gli immigrati e arrendersi alla cinesizzazione del lavoro non sembra una politica molto di sinistra. È semplicemente l’eutanasia dell’Italia.
Francesco Bonazzi (La Verità)
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