In crisi da cani. Alcuni Comuni erogano un bonus, ma non basta

Cronaca Zampe di velluto

Sempre più disoccupati e pensionati costretti a lasciare al canile il loro animale

Milano 22 Giugno –  – Le chiamano “rinunce da crisi”. Sono quelle dovute alle tasche sempre più vuote degli italiani, e se ne registra un forte aumento nei canili di tutta Italia. Nel senso che, con il padrone in crisi,spesso proprio il cane finisce dietro le sbarre con il cuore spezzato, perché mantenerlo o curarlo è diventato troppo costoso . Sono soprattutto disoccupati e anziani a cedere. E dire che Fido non è soltanto un buon amico, ma anche un toccasana per la salute e la solitudine. Ma tant’è: quando mancano i soldi per pappa e cure veterinarie, spesso l’unica strada e affidarlo a chi se ne può prender cura. I primi casi risalgono al 2012, denunciati dalle associazioni che gestiscono canili, soprattutto al nord: persone che lasciavano il cane a malincuore, spiegando di aver perso il lavoro o di non riuscire più a pagare le bollette. Poi negli anni gli addii forzati si sono moltiplicati. L’allarme, in questi giorni, arriva dai canili di Bologna, dove sempre più spesso i volontari animalisti sono costretti a pagare le cure veterinarie ai proprie-tari di animali ammalati, pur di prevenire gli abbandoni. Ma da tempo l’Enpa parlava di un fenomeno conclamato: «Tante persone chiamano perché non hanno più un lavoro o perché hanno perso la casa», spiegava in un’intervista Marco Marellì, responsabile Enpa a Como.

Numeri ufficiali non ce ne sono, ma nei mesi di luglio e agosto i casi sono aumentati esponenzialmente. Che cosa fare, allora? Il bonus cane, cioè lo sconto sulle imposte comunali per chi adotta dal canile, applicato da diversi Comuni italiani (tra cui Pesaro, Vittoria, Bisceglie e Terni), è certo un importante incentivo all’adozione, ma non risolve questo problema. Il provvedimento, infatti, prevede sgravi fiscali per chi dà casa ad un randagio, ma nulla per le spese vive (e spesso salate) di chi un cane lo possiede già. E nemmeno la detrazione fiscale del 19% sulle spese veterinarie, possibile da quest’anno, è sufficiente. Qualche tempo fa il web accese le speranze di tanti. Diversi siti rilanciarono un articolo in cui si annunciava l’arrivo di un contributo del valore di circa 900 euro annui per le famiglie,in difficoltà economiche, proprietarie di uno o più animali domestici. Nell’articolo, si parlava di un fantomatico ufficio del ministero, una sorta di “ministero della sanità zoofìla”, che avrebbe a breve dato corso all’erogazione dei fondi per le famiglie a basso reddito che avessero presentato la richiesta per integrare le spese sanitarie e di sostentamento degli animali di casa. La notizia aveva fatto discutere, in quanto il contributo veniva presentato come vincolato, oltre che al reddito e alla presenza di almeno due figli minori a carico, anche alla razza del cane, alle sue buone condizioni emotive e addirittura ad una serie di analisi che avrebbero dovuto garantire la sua sopravvivenza nei mesi successivi l’erogazione dell’assegno. Ovviamente si trattava di una bufala. Anche se in realtà, a conti fatti, l’idea, presa sul serio, potrebbe risultare conveniente. A dirlo sono i numeri. Mantenere un cane in famiglia, tra cibo, cure e prevenzione, secondo calcoli generalisti costa all’incirca 1000 euro all’anno.

Le amministrazioni pubbliche, invece, per far sopravvivere gli animali in canile spendono di più: in media si calcola un costo medio di 4 euro al giorno (da 2 a 7 a seconda della struttura) per un totale di 1500 euro l’anno per ogni ospite . Che moltiplicato per il numero di animali ricoverati supera, secondo le stime, i 200 milioni di euro annui. Al contrario, garantire la presenza di un quattro zampe nella vita delle persone, soprattutto di quelle a rischio sanitario (come gli anziani), produce un reale risparmio. Secondo il Centro Studi src Sanità, presentato da Federanziani, «la presenza di un animale da compagnia contribuisce alla prevenzione di alcune delle principali patologie croniche quali ipertensione, diabete, patologie cardiovascolari e depressione», con un risparmio potenziale per il Sistema Sanitario di «4 miliardi di euro».

Alessia Pedrielli  (Libero)

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