Dal libro ‘All’ombra del castello’ di Michela Pugliese
Milano 24 Giugno – Quando l’imperatore tedesco Federico I si presentò per la prima volta nella Pianura Padana, i lombardi inventarono per lui un soprannome: ‘Barbarossa’. In realtà non si sa se Federico I avesse davvero la barba rossa oppure no; ma è probabile che lo svevo imperatore fosse realmente sul rossiccio, il colore che si attribuisce in genere al diavolo e al suo inferno. E’ certo che tale soprannome gli fu dato in tono sprezzante. Infatti, a Federico Barbarossa piaceva moltissimo l’idea di incutere timore alle popolazioni assoggettate; e forse, la folta lunga barba aveva lo scopo di accentuare la sua reputazione di feroce sovrano.
Di certo dovette ribollire dalla rabbia quando si accorse che gli abitanti della penisola, e in particolare i milanesi, non solo non erano impauriti dalla sua barbuta presenza, ma osavano addirittura burlarsi di lui. Quando il Barbarossa divenne imperatore, prese subito la risoluzione di ristabilire l’autorità imperiale in ogni angolo del suo regno; ma soprattutto intendeva ridimensionare lo strapotere del comune milanese. Il pretesto principale per agire contro Milano fu fornito da Lodi. Nel bel mezzo di un’assemblea presieduta dal Barbarossa, infatti, due rappresentanti della città di Lodi si fecero avanti schermandosi dietro due grosse croci di legno a mo’ di nazzareni della ‘via crucis’ diretti al golgota per esservi crocefissi. Bernardino Corio, in ‘Storia di Milano’, riporta che i due lodigiani avevano prelevato le croci necessarie per la messa in scena presso una chiesa; poi se le erano poste in spalla e, gravati da un tal supplizio, erano andati al cospetto l’imperatore ai cui piedi si erano gettati piangendo sotto il pesante fardello. Tale gesto era inequivocabilmente segno di oppressione e corrispondeva a una richiesta di giustizia.
L’imperatore promise appoggio a Lodi più per antipatia nei confronti delle mire espansionistiche di Milano che per pietà nei confronti dei due lodigiani. Molti abitanti di Lodi, più che essere entusiasti dell’iniziativa dei due concittadini, si rivelarono (e non a torto) preoccupati per una possibile ritorsione da parte dei milanesi nei loro confronti. Insomma, i due lodigiani che avevano inscenato la commedia erano rientrati in città pronti a raccogliere consensi a non finire dalla folla osannante, invece raccolsero rimproveri e ammonizioni.
Nei giorni seguenti il Barbarossa inviò a Milano un messo, con tanto di ordine scritto, che imponeva di concedere più libertà ai lodigiani. I milanesi, calcolando la proporzione fra la distanza dell’imperatore e i propri nemici, calpestarono con sprezzo l’ordine imperiale. A nulla valsero le proteste del messo imperiale che assisteva inorridito a un tale affronto all’imperatore. In città sorse un tumulto intenzionato a dimostrare concretamente quanto i milanesi considerassero irrilevante l’autorità imperiale, cosa che costrinse infine il messo a fuggire a gambe levate per andarsi a rifugiare nella città più vicina, cioè proprio Lodi, presso una popolazione che riteneva ora di avere motivi aggiuntivi per temere l’ira dei milanesi.
Passato lo sdegno però, i milanesi iniziarono a rendersi conto della gravità del loro gesto e cercarono di placare l’ira dell’imperatore inviandogli una delegazione con offerte d’oro e la promessa di incoronarlo re d’Italia nella prestigiosa chiesa di Sant’Ambrogio. In risposta, l’imperatore organizzò una nuova riunione per il novembre del 1154 e, dopo aver ascoltato le lamentele che un po’ da ogni parte si levavano contro Milano, accusata di opprimere le altre città lombarde, fece legare i rappresentanti milanesi presenti al lato posteriore dei cavalli e li fece trascinare nel fango per umiliarli. L’imperatore cercava così di domare la carica espansionistica di Milano dando al contempo una lezione valida a tutti gli altri comuni presenti.
Milano, anziché dimostrarsi pentita degli atti di supremazia e delle conquiste nei confronti delle altre città lombarde senza il consenso imperiale, cercò di indurre l’imperatore a legittimare le proprie imprese offrendogli del denaro. Il Barbarossa, però, rifiutò il denaro. Anzi, s’indignò (forse questo fu l’unico rifiuto di incassare una tangente in tutta la storia della politica); ma non si azzardò ad attaccare Milano: si rendeva conto di quanto fosse scarsa la sua autorità nell’area lombarda e temeva anzi di peggiorare la situazione.
Il Barbarossa si limitò in quell’occasione a saccheggiare e incendiare tutto ciò che gli capitava tra le mani e che costituiva un vantaggio per i commerci della città. Demolì i ponti sul fiume Ticino e tutte le località limitrofe, tra cui Rosate, Galliate, Trecate. Intimò a Tortona di abbandonare ogni rapporto con Milano con il chiaro intento di porre un ostacolo tra quest’ultima e il mar ligure, sbocco fondamentale per i commerci via mare. Tortona, solidale con Milano, rispose picche. La coraggiosa Tortona sentenziò che non si abbandona l’alleato quando più è forte il pericolo. In risposta il Barbarossa assediò Tortona e la rase al suolo. Poi si diresse verso Roma dove, deposti momentaneamente i propositi di ridimensionare il potere del Papa, si fece anzi incoronare quale imperatore da Adriano IV. Per prudenza, e dubitando a quanto pare del valore divino della sua investitura, l’imperatore rinunciò anche all’impresa di scendere contro il re di Sicilia. Insomma, il sovrano tedesco che amava spaventare i suoi sudditi mostrando un aspetto selvaggio e feroce, in quell’occasione preferì starsene il più quieto possibile. Il sovrano sceso nella penisola per ridimensionare, fu quindi egli stesso ridimensionato. E poiché per tornare in Germania non poteva evitare di attraversare nuovamente il settentrione, questa volta badò bene di tenersi prudentemente alla larga da Milano.
Grazie all’aiuto di Milano, Tortona risorse con stupefacente rapidità e più bella di prima: e fu una chiara sfida all’imperatore. Considerando che il Barbarossa non era tipo da lasciar cadere le sfide, Milano si dedicò al prudente restauro delle proprie mura cittadine. Esse erano alquanto fatiscenti e insicure giacché risalenti al tempo dei romani. Così, in aggiunta alle antiche mura, ne furono costruite di nuove e più possenti. Ampliò e consolidò inoltre la rete dei canali utilizzati per l’irrigazione dei campi arrivando a farne un ottimo sistema di difesa. Fu realizzato un vallo circolare, lungo e continuo, nel quale si provvide poi a immettere l’acqua del fiume Seveso e dell’Olona per renderlo inguadabile. Era il 1156 e nasceva così il primo abbozzo della ‘Cerchia dei Navigli’. Ora Milano era fornita di due barriere protettive: una realizzata con solidi mattoni e l’altra con acque profonde.
Federico Barbarossa, avendo avuto un assaggio del temperamento dei milanesi, quando scese per la seconda volta in Italia, lo fece con un’armata poderosa. Era l’estate del 1158. “Si potrebbe pensare vogliano conquistare un regno”, scrive Garobbio, “vanno invece contro una città sola e circondata da nemici …
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