Milano 24 Giugno – Ieri (giovedì ndr ) più di 2.500 persone hanno chiesto di costituirsi parte civile nel processo in corso ad Arezzo contro i vertici della Popolare dell’Etruria per il crac della banca. Si tratta di azionisti e obbligazionisti dell’istituto di credito finito in bancarotta, gente che in pochi mesi ha visto andare in fumo i propri risparmi, quasi sempre tutti quelli di una vita. I giudici si sono limitati a registrare le richieste di chi si è dichiarato danneggiato e truffato, aggiornando l’udienza, che non sarà il mese prossimo ma ad ottobre.In quell’occasione la Corte dovrà anche decidere se unificare i vari tronconi dell’inchiesta che riguarda il crac , trasformando i procedimenti in uno solo. Insomma, per capire come la banca di cui era vicepresidente Pierluigi Boschi, papà del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sia andata in malora ci vorrà tempo e probabilmente anche parecchio. Intanto sul babbo dell’ex madrina delle riforme si rincorrono le voci di un’archiviazione per tutte le accuse che gli sono state mosse. Boschi padre, che nei mesi antecedenti al crac si incontrava con il massone Flavio Carboni per discutere come salvare la banca, non figura nel processo che si è aperto ieri, ma il suo nome risultava fra gli indagati in altra indagine connessa. Tuttavia forse non finirà alla sbarra, proprio come anticipato mesi fa dalla figliola in una delle sue apparizioni televisive. A dire il vero Maria Elena a marzo annunciò come cosa già fatta il proscioglimento del paparino, lamentando il fatto che nessuno avesse pubblicato la notizia. In realtà allora l’archiviazione venne smentita: ora non si sa. Può darsi che a Meb -così la chiama l’entourage renziano -abbia fatto un brutto scherzo la fretta e che si sia trattato di una frase uscita di bocca involontariamente. Sta di fatto che seguendo le vie tortuose della giustizia, la verità sulla bancarotta di quello che un tempo era uno dei più importanti istituti di credito toscani arriverà molto lentamente. Sempre che arrivi, ben inteso. Di certo non c’è da aspettarsi molto dalla commissione d’inchiesta istituita in Parlamento e che comincia in questi giorni a muovere i primi passi. Già il fatto che ci sia voluto un anno e mezzo per vederla nascere testimonia non solo che gli approfondimenti sui crac bancari andranno alla velocità di una lumaca ma è prova della scarsa voglia di andare a fondo della faccenda. E poi diciamoci che la costituzione di una commissione di inchiesta a meno di un anno dalla fine della legislatura non promette nulla di buono. Ormai siamo a luglio, cioè a un passo dalle vacanze, che come è noto a Montecitorio e Palazzo Madama non sono brevi. Dunque è difficile che accada qualche cosa prima di ottobre. Per di più la materia affidata ai commissari è vasta, perché non si tratta di indagare solo su Etruria, ma sull’intero sistema bancario, andando indietro nel tempo e nelle responsabilità. Non dico che i nostri eroi coglieranno la palla al balzo per tornare ai tempi di Roberto Calvi e Michele Sindona, cioè alla preistoria giudiziaria, ma è assai probabile che partiranno da lontano, allargando il più possibile l’orizzonte. Insomma, di vedere presto sfilare sul banco dei testimoni Federico Ghizzoni, l’ex amministratore delegato di Unicredit tirato in ballo da Ferruccio de Bortoli quale destinatario di una richiesta del ministro Boschi per salvare la banca del papà, non ci sarà verso.Perlomeno tra la fine anno e la primavera. Quello sarà infatti il periodo più caldo della campagna elettorale e dunque i renziani faranno il diavolo a quattro per impedire che proprio nelle settimane antecedenti il voto i riflettori si riaccendano su Etruria. E se non ci sarà Ghizzoni, probabilmente non vedremo neppure Vincenzo Consoli, l’amministratore di Veneto Banca che per salvare l’istituto di credito si rivolse proprio al papà della Boschi, nella speranza che intercedesse tramite la figliola presso il presidente del consiglio. Anche lui, se interpellato da commissari che lo sciolgano dal patto di riservatezza che ogni manager firma all’atto di essere nominato, ha fatto capire di essere pronto a parlare. E da dire probabilmente ha molto. Soprattutto a proposito dei tentativi di bloccare la Banca d’Italia di cui parla il nostro Giacomo Amadori oggi su La Verità. Quelle furono giornate caldissime e ricostruirle servirebbe a capire i molti intrighi intessuti alle spalle degli italiani negli ultimi anni. Ma per farlo non basteranno pochi mesi di fine legislatura. Questo semmai è lavoro di un altro Parlamento e di un’altra maggioranza. Capite perché votare serve a qualche cosa?
Maurizio Belpietro (La Verità)
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