Parla Daniel il ragazzo spagnolo ritrovato ferito sui binari della Garibaldi. Un autentico giallo.

Cronaca

Milano 26 Giugno – “La prima cosa che farò quando torno a casa?”. La voce è affaticata, e non certo dal gran caldo. La testa ha bisogno di un supporto per stare dritta sulla poltrona attrezzata, i capelli sono molto più corti rispetto alle foto “di prima”. Ma la mente di Daniel Rodriguez è lucida, lo è sempre stata da quando si è risvegliato, due giorni dopo quell’operazione lunga otto ore che lo tenne in vita. “La prima sarà stendermi sul sofà di casa mia e riposarmi un po’. E poi ricominciare con la riabilitazione. Tempo nove mesi e voglio tornare piano piano a lavorare”.

Al suo posto di ricercatore di Fisica molecolare all’università a Valencia. Alle sue passioni, il basket, il Barcellona, la bici, il nuoto. Alla sua Maria, che dal 30 aprile è qui al primo piano dell’Unità spinale del Niguarda insieme alla sorella di Daniel, Beatriz, e nessuno di loro ha ancora capito cosa sia successo quella notte. “Non è che mi interessi molto – sospira Daniel – se sia stato un incidente, se sia stato colpito da qualcuno. Il mio ultimo ricordo è che stavo ballando. Che stavo bene. E il mio unico pensiero è tornare a stare bene”. Fa fatica. Muovere le braccia, già un miracolo, è uno sforzo enorme. La mano che porgiamo riesce a stringerla. Sorride.

Il calvario di Daniel Rodriguez comincia la notte tra il 29 e il 30 aprile, dopo un addio al celibato sulla pista dell’Alcatraz organizzato per l’amico Antonio. “Erano in venti, tutti ragazzi – racconta Maria – tutti amici d’infanzia del paese, Motril, nel sud. Ora c’è chi sta a Madrid, chi a Newcastle, hanno votato varie città in cui andare, parlavano di Polonia e Budapest ma alla fine hanno scelto Milano. Hanno affittato tre appartamenti in zona San Siro, tutto organizzato da Daniel, che aveva prenotato l’Alcatraz perché era l’unico che lasciava loro venti posti”.

Daniel verrà ritrovato poco dopo le 6, steso lungo i binari della stazione Garibaldi, da un macchinista che fa in tempo a frenare e nessuno sa dire cosa sia successo tra via Valtellina e quel volo a testa in giù. Non gli amici, ognuno con una versione diversa ma non uno che abbia visto una rissa, una lite, una discussione. Il caso passa con qualche ritardo dalla Polfer alla sezione Omicidi della Squadra mobile, guidata da Lorenzo Bucossi. Ma né le testimonianze né la visione delle telecamere a oggi dà evidenza di presenze esterne.

Accanto alle indagini, al dramma, a papà Daniel che chiede di sapere, all’angoscia di mamma Emilia, c’è pure la beffa di una famiglia lasciata al suo destino dalle autorità spagnole. “Abbiamo chiesto al consolato, all’ambasciata, al ministero della Sanità – elenca la sorella Beatriz, che ha lasciato il suo master in insegnamento e la sua vacanza a Dublino per trasferirsi qui dal 30 aprile – abbiamo bussato a tutte le porte e nessuno ci ha aperto. Non ci hanno dato nemmeno un traduttore. Un avvocato: ci hanno detto che l’Italia non è un Paese a rischio, che se fosse detenuto in Africa o in Cina allora lo avrebbero messo a disposizione. Né un aiuto per le spese. Io e Maria abbiamo affittato un appartamento qui a Niguarda su Airbnb a 1.200 euro al mese, e dobbiamo lasciarlo a luglio. Intanto sono venuti i genitori, gli amici, gli zii, mia nonna Emilia che ha 81 anni”.

Ma il problema è soprattutto il volo di ritorno. Dani dovrebbe proseguire la riabilitazione a Toledo, dove c’è un centro specializzato che ha pure la piscina, ma ci vuole un aereo attrezzato e medicalizzato per il trasporto e costa 20mila euro. Finora abbiamo rifiutato collette e aiuti privati: qualcuno si deve prendere la sua responsabilità”. Così, tra appelli, trattative e spiragli che paiono aprirsi in queste ore, è nata una petizione su change.org che ha superato le 10mila firme, e l’hashtag #danidebevolver. “Ma noi restiamo positivi”, è il mantra di Maria. Un’ora di terapia al giorno, l’aiuto anche umano degli infermieri del Niguarda, della fidanzata e di Beatriz: “Balliamo, cantiamo, facciamo i numeri di Tu sì que vales, non lasciamo che si annoi”. Dani prova a stringere il tablet per vedere un film. “Finora in tv li ho visti inglese, ma sto provando a imparare l’italiano”.

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