Qualcosa cresce in Italia: la miseria.

Attualità

Milano 29 Giugno – Ce la siamo tirata. Tanto abbiamo detto che il sistema bancario italiano è solido che è venuto giù tutto. Tanto abbiamo detto che il risparmio degli italiani è il più alto d’Europa che lo abbiamo distrutto. E tanto abbiamo predicato “Basta mettere soldi pubblici per salvare le banche” che ben che vada ci toccherà tirare fuori venti miliardi di euro. Male che vada, molti di più.

Al danno, cioè, si unisce la beffa. Abbiamo voluto e applicato il “Baìl in”, la direttiva europea che vieta l’intervento dello Stato nelle banche in crisi facendo ricadere su azionisti e obbligazionisti subordinati il peso delle perdite, ma poi finisce sempre che i soldi deve metterceli pure Pantalone, tra l’altro con il beneplacito della Commissione europea e della Bee che proprio per evitare che questo avvenga dovrebbero vigilare.

Significa che in un colpo solo non soltanto vanno in fumo i risparmi degli italiani, ma anche in rosso i conti pubblici. E dopo aver perso tutto quello che avevamo da parte, aumenta pure il debito che prima o poi saremo chiamati a pagare con nuove tasse. Almeno prima si mettevano soldi pubblici ma il risparmio resisteva, portando per una volta l’Italia in cima alle classifiche europee. Adesso neanche più questo.

 È la sintesi di quanto è successo da fine 2015 a oggi, dal fallimento delle famose quattro banche popolari (Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche) a quello delle due venete (Veneto Banca e Popolare di Vicenza), passando per Monte dei Paschi di Siena. Poi forse è solo una coincidenza temporale che il disastro sia avvenuto negli anni di Matteo Renzi. Ma se il risparmio degli italiani era l’orgoglio di Silvio Berlusconi, quello che aveva consentito ai nostri concittadini di sopravvivere anche negli anni della crisi più nera, adesso non c’è più. Siamo al pari degli altri Paesi, dove almeno però quei soldi sono stati spesi facendo girare l’economia.

Ma la cosa va vista anche dall’altro lato. Dal punto di vista di chi quelle banche fatte fallire le ha comprate a prezzi stracciati. Il famigerato “euro di un cappuccino” prendendosi solo la parte buona (tendenzialmente la rete di sportelli sul territorio e la clientela) e lasciando pesare sulle casse pubbliche quella cattiva (soprattutto i crediti deteriorati). Non sempre è andata bene. Peggio di tutte ha fatto Mps. Dopo il risanamento Renzi ne sponsorizzava l’acquisto, e forse a quei tempi, dato il lavoro fatto, aveva pure ragione, ma dopo pochi mesi si è reso necessario salvarla di nuovo. Si spera solo che il management di Intesa sia più capace, come in effetti sembra essere, e rilanci veramente le due banche venete. Lo Stato ci avrà messo pure dei soldi ma almeno il problema sarà risolto. E non saremo più ciclicamente chiamati ad aumentare l’iniziale stanziamento di venti miliardi. Tutte risorse tolte ad altre riforme di cui avremmo bisogno ma per le quali non ci sono mai i denari, per esempio la Flat tax. La realtà è che in Italia i soldi si trovano solo per le emergenze, mai per gli investimenti. Per tappare buchi, errori, nefandezze. Mai guardando al futuro.

Paola Tommasi (Libero)

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