Nel tentativo di recuperare consensi dopo la sconfitta alle amministrative, l’esecutivo accentua la linea dura sugli stranieri Ma i sindaci dem si ribellano. Il milanese Beppe Sala attacca: «Non si può cambiare rotta», altrimenti la sinistra perde la faccia.
Milano 1 Luglio – Erano lì, tutti seduti al medesimo tavolo pomposo: la rappresentazione plastica dello sfascio. Certo: l’astio è stato prudentemente incartato da veli retorici, ed è stata sollevata una spessa coltre di fumisterie onde confondere la visuale. Ma, nei sorrisi profusi con generosità, i denti scintillavano come lame, e le lingue guizzavano appuntite. Che volete, i capoccia del Pd riescono a essere noiosi pure quando s’accapigliano come gatte. Protagonisti sulla scena: il sindaco di Milano, Beppe Sala; il primo cittadino di Bergamo, Giorgio Gori; il ministro dell’Interno, Marco Minniti. Riuniti nel capoluogo lombardo per un evento intitolato «Governare l’immigrazione». Che è un po’ come avere John Candy, Ollìo e Aldo Fabrizi relatori a un convegno sulla dietetica. E infatti il disagio era evidente. Un imbarazzo profondo, provocato dalla posizione assunta dal governo negli ultimi giorni, tramite l’evanescente minaccia di chiudere i porti italiani alle navi straniere che traghettano qui gli immigrati.
IL PIAGNISTEO
Ancora ieri, il premier Paolo Gentiloni, a Berlino per un vertice europeo, insisteva a chiedere «un aiuto concreto» nella gestione dell’accoglienza, che altrimenti rischia di diventare «insostenibile». Esternazioni ad alto tasso di comicità. Il Partito democratico e i suoi esponenti nell’esecutivo hanno messo tutto l’impegno del mondo onde favorire l’invasione, e adesso, improvvisamente, si svegliano e sfoderano il muso duro. Persino il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, ieri scriveva in un editoriale che bisogna «alzare la voce» poiché I’Ue appare «vaga e assente ». E evidente che si tratti di una pantomima simile a quelle orchestrate in passato da Matteo Renzi quand’era premier. Le illustri guide morali progressiste, di fronte al clamoroso fallimento di tutte le loro ricette, non trovano di meglio che berciare invano all’indirizzo di Bruxelles. Potevano pensarci prima di posizionarsi bocconi ed eseguire tutti i comandi provenienti dai palazzacci europei.Trattasi, biecamente, di un calcolo politico: alle amministrative hanno rimediato un colossale sberlone. E adesso cercano di rimediare, si arrabattano e si atteggiano a difensori della patria per recuperare qualche strapuntino. Se non ne andasse del destino del Paese, ci sarebbe da accomodarsi in poltrona e godersi la disfatta. Solo che, appunto, assieme al Pd si sfracella anche l’Italia, e non è una cosa da poco. Ma torniamo allo spettacolino visto a Milano. Il ministro Minniti ha recitato la parte del duro. «Dall’Europa, ora, ci vogliono fatti», ha dichiarato con voce stentorea. «Il tempo delle parole si è consumato». Secondo lui, le navi di Frontex, della missione europea Sophia e delle Ong dovrebbero smetterla di condurre i migranti soltanto sulle nostre coste. «Se anche una sola imbarcazione li portasse in un altro porto europeo, sarei più orgoglioso di questa Europa», ha detto il ministro, tra timidi applausi.
AVANTI DECISI
Insomma, il governo prosegue sulla linea dura, a fare la tigre di carta. Comprensibile, visto che la maggioranza degli italiani ormai ne ha piene le scatole di questa accoglienza asfissiante. E qui sorgono i guai grossi per il Pd. Il fatto è che la convenienza elettorale dell’esecutivo è un po’ diversa da quella degli amministratori locali. A chiarire i contorni del dramma è stato, ieri, l’intervento di Giorgio Gori. Il sindaco bergamasco si è lanciato in un arzigogolato peana a favore dell’accoglienza. Ha spiegato che nella provincia di Bergamo, su 242 Comuni, 60 ospitano i richiedenti asilo, mentre gli altri si rifiutano ostinatamente. A suo parere, dunque, bisognerebbe obbligarli a prendere gli stranieri con un «intervento legislativo», visto che gli incentivi economici (500 euro per ogni immigrato) non sono serviti a nulla. Eccola, la sua soluzione per «governare l’immigrazione»: costringere ogni cittadina a farsi carico degli stranieri. Fosse stato per lui, Gori avrebbe messo in atto un vero e proprio ricatto: in pratica, avrebbe consentito di assumere nuovo personale solo ai Comuni disposti a prendere gli immigrati. Ha fatto pure un esempio concreto: se il paesino da mille abitanti ha bisogno di un geometra, deve prima prendere i 3 migranti che gli toccano. Purtroppo per lui, il governo ha sbloccato le assunzioni per tutti, e il ricattone è saltato, dunque tocca inventarsi nuovi metodi di estorsione. La domanda è inevitabile: come si concilia la«linea severa» di Minniti e del governo con le idee di Gori? Non si concilia, ovvio. E il motivo lo ha chiarito Beppe Sala. Va detto che estrapolare una tesi di senso compiuto dal nugolo di parole smozzicate e mezze frasi imbastito dal sindaco di Milano è stata un’impresa ardua. Ma, alla fine, si è capito che cosa intendesse. Tanto per cominciare, Sala si è subito detto contrario alla chiusura dei porti. «Non dobbiamo dirottare rispetto alle cose che abbiamo fatto fino adesso», ha spiegato ieri. E perché mai non bisogna «dirottare»? Semplice: perché altrimenti gente come lui (e come Gori) perde la faccia.
BRUTTE FIGURE
«I sindaci fino ad oggi hanno fatto la loro parte. Si può dire che i sindaci di centrosinistra l’abbiano fatta anche sfidando una parte dell’elettorato», ha detto Sala. «In questo momento il governo ha assunto un atteggiamento di maggiore prudenza. Auguri alla sinistra che va alle elezioni così..».Tradotto, significa: prima ci avete detto che dovevamo accogliere gli stranieri a tutti i costi, e noi abbiamo obbedito nonostante sapessimo che molti cittadini erano contrari. Se ora il governo fa retromarcia, noi che figura ci facciamo? Beh, Sala ovviamente ci fa una figura terribile, visto che la sua città e i suoi colleghi democratici milanesi sono stati in prima fila nell’organizzazione della marcia pro migranti del 20 maggio scorso. In sostanza, sono tutti preoccupati per la loro cadrega, ed è questa preoccupazione a orientare le loro scelte politiche. A un certo punto del convegno, Minniti ha pronunciato una frase atroce: «Il futuro dell’Europa si decide in Africa». Uno vorrebbe rispondere: col cavolo, il futuro dell’Europa lo devono decidere gli europei. E invece, in questo quadro disperante, l’unica risposta è: magari si decidesse in Africa, il futuro. Perché se a deciderlo sono Minnìti, Sala e soci, meglio uno con la pelle di leone addosso.
Francesco Borgonovo (La Verità)
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