Milano 5 Luglio — Obiettivo Milano, 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas è una mostra che racconta una città attraverso la fotografia. Il percorso descrive cinquant’anni di cultura milanese in un viaggio di «immagini che fanno scoprire il mondo» (scrive Ermanno Olmi alla stessa Mulas in una dedica presente in mostra). Gli scatti sono diretti, liberi da superfetazioni, confortati solo da una luce naturale che si prende cura della veridicità dell’immagine.
Partendo da «coda rossa con macchina fotografica» – una serie di autoritratti dagli anni Sessanta ai nostri giorni – il percorso espositivo attraversa un poderoso corpus di fotoritratti eseguiti ad «Amici Artisti». Ogni singolo scatto fotografico custodisce l’intento di ritrarre l’anima del soggetto, riconoscendone le peculiarità e trasformandolo in un’immagine immortale. Non è certamente difficile scorgere nei ritratti di Maria Mulas l’alchimia della pittura, evidente punto di partenza per il percorso dell’artista, che continua ad indagare la realtà e scorgere ciò «che c’è dietro». Sono artisti e critici raccontati come amici, così i numerosi protagonisti del design, della moda e dello spettacolo che affollano le sale successive (rispettivamente nelle sezioni «La città del design», «Il mondo della moda», «Le arti dello spettacolo»).
Mentre alcuni ritratti dichiarano un dialogo serrato tra la fotografa e il soggetto, altri propongono cronache di eventi straordinari e descrivono situazioni inconsuete come Andy Warhol a Palazzo delle Stelline (1987), scortato da due frati davanti al lavoro The last supperyellow. In altre occasioni lo spettacolo cala le luci e Mulas descrivere il silenzio e l’intimità, come per Irma Blank fotografata nel suo studio (1992) o nella figura ieratica di Gina Pane (1980) – oramai post Azione Sentimentale – descritta alla stregua di Zeus al tempio di Olimpia.
Accanto ai ritratti, che continuano a distinguere il lavoro della fotografa, ci sono i reportage, che allungando i tempi di esposizione e con essi anche l’azione e il movimento, come nelle foto volute da Giorgio Strehler per il Piccolo Teatro. Questi gli scatti non concedono alterazioni o ripensamenti e non corrono il rischio di arrestare l’azione: il dramma cala con l’oscurità e la vitalità si riconosce con il movimento.
La versatilità dell’artista appare già nei primi lavori e si dirama in una duplice natura. Le atmosfere smaltate dei reportage realizzati per Vogue Italia, tra gli anni Sessanta e Settanta, si sovrappongono ad immagini che percepiscono l’altro volto della bellezza. Si tratta della serie «I borghesi sono gli altri», esposta per la prima volta alla galleria milanese Il Diaframma nel 1976. I ritratti ai borghesi raccontano una realtà ai margini del potere, per la quale Maria Mulas non ha alcuna pietà e utilizza la violenza dello strumento fotografico per smascherare i depositari di questa grande ipocrisia. Un progetto particolarmente rappresentativo, dal quale emerge l’occhio critico di un’artista che, pur lavorando per una prestigiosa rivista, non abbandona l’indagine sulla società e sull’uomo.
Il percorso espositivo si conclude con «scrittori, giornalisti, editori», tra i quali Allen Ginsberg e la sua boccaccia esprimono il paradigmatico ritratto della sprezzante Beat Generation, descritta nel suo riflesso italiano con il fotoritratto di Fernanda Pivano.
Le teche in sala rimarcano lo stretto rapporto di Maria Mulas con il mondo della cultura e concedono al visitatore una lettura più intima dei ritratti e dei reportage presenti nel percorso espositivo. I numerosi documenti di archivio aiutano a comprendere che le grandi vicende della cultura milanese (e non solo), in fondo, fatte da uomini e regolate dai loro affetti, come nel dattiloscritto di Giò Ponti «sincerissimo ammiratore ed estimatore» della fotografa, che nel rammarico di aver mancato la mostra del Diaframma del 1976, esegue un piccolo capolavoro di poesia visiva.
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Maria Mulas nasce nel 1935 poi si trasferisce a Milano nel 1956 dove inizia la sua attività di pittrice per continuare, a metà degli anni sessanta, il suo percorso artistico nella fotografia, attività di famiglia visto che era già praticata dal fratello maggiore Ugo Mulas, che rimarrà il suo mezzo di espressione definitivo. Tra il 1965 e il 1976 realizza soprattutto fotografie di teatro e ritratti, e nello stesso tempo conduce una ricerca su riti cosiddetti “sociali”. Del 1976 è la sua la prima esposizione personale presso la galleria Diaframma di Milano. Vengono esposti una serie di ritratti di artisti e attori del tempo.
“Se fotografare e un modo di raccontare senza essere interrotti (ne contraddetti) – ha ben scritto di lei Lea Vergine nel 1988 – si potrà ben sostenere, nel caso di Maria Mulas, che il suo non e solo un discorso ma una girandola, addirittura un fuoco di artificio, con esiti clowneschi e raggelati al tempo stesso”.
Maria Mulas ha realizzato una serie di libri fotografici: Milano vista da… (1973), Hans Richter (1976), Annotazioni sul linguaggio di Hans Richter (1978), Sul linguaggio organico di Henry Moore (1977)
Andrea Fiore ( AlfaBeta più)
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