E’ partita la sostituzione, a Torino il prefetto fa assumere i profughi

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Con una decisione senza precedenti, dopo pressioni sulle commissioni territoriali, rilasciati 50 permessi per motivi umanitari. Il motivo? Permettere di assumere immigrati. Alla faccia della disoccupazione record.

Milano 12 Luglio – Rilasciare il permesso di soggiorno «per motivi umanitari » ai richiedenti asilo che abbiano un’occupazione parrebbe un’abnormità a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la disciplina della protezione internazionale. Se, infatti, quest’ultima serve a garantire asilo politico nel nostro Paese a migranti che abbiano sofferto gravi persecuzioni nel Paese d’origine, essa non serve, invece, per offrire un lasciapassare ai migranti economici, i quali possono entrare legalmente in Italia esclusivamente sulla base del sistema delle quote aggiornate periodicamente dal cosiddetto «decreto flussi». E evidente, allora,che un accordo come quello posto in essere di recente dalle prefetture piemontesi faccia storcere ben più di un naso persino all’interno della pubblica amministrazione sabauda. Meno chiaro, invece, è che cosa ne pensi il ministero dell’Interno e in particolare il ministro Marco Minniti.

Pochi giorni fa La Stampa ha raccontato le conseguenze di quello che la Verità aveva anticipato il 14 aprile. Nel nostro articolo si era sottolineato come le prefetture del Piemonte, capitanate da quella di Torino, fossero impegnate ad allargare le maglie della disciplina della protezione internazionale per consentire la permanenza sul territorio italiano di migliaia di richiedenti asilo che non ne avrebbero in realtà diritto. Per fare ciò le diramazioni territoriali dello Stato centrale hanno, infatti, impartito precise disposizioni alle proprie Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale al fine di rilasciare il permesso di soggiorno «per motivi umanitari» a tutti quei richiedenti asilo che esibiscano un semplice tirocinio formativo. Un gruppo di aziende del Torinese, specializzate in vari settori, dalla ristorazione alla meccanica, l’1 marzo scorso avevano chiesto a prefettura e Comune di «trovare soluzioni»che permettessero loro di non interrompere il rapporto di collaborazione con alcuni richiedenti asilo, scaduti i termini del tirocinio formativo. Detto, fatto. Come riportato dal quotidiano sabaudo, 30 profughi hanno ottenutolo status di protezione umanitaria, e 20 stanno per concludere le pratiche burocratiche. «È la prima volta che in Italia la protezione umanitaria viene concessa in modo così organico come coronamento di percorsi d’integrazione virtuosi», si sdilinquiva l’articolista. Che continuava: «Con un’iniziativa senza precedenti il prefetto ha chiesto alla commissione territoriale di esaminare le nuove domande di protezione». Ecco perché la decisione, maturata sotto l’egida del prefetto torinese Renato Saccone, di concerto con decine di cooperative, enti locali e imprenditori piemontesi, ha fatto alzare più di un sopracciglio tra i cittadini, a maggior ragione in una città metropolitana come quella di Torino, nella quale la disoccupazione nel 2016 era al 10,4%, mentre quella giovanile (15-29 anni) toccava il 26,1%, raggiungendo la punta del 40,3 % nella fascia tra i 15 e i 24 anni, record del Nord Italia.

Il permesso di soggiorno «per motivi umanitari», valido in genere per tre o sei mesi e rinnovabile più di una volta, è l’ultima tipologia di protezione che può essere riconosciuta a un richiedente asilo, qualora non sia possibile concedergli lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Questa categoria residuale, che non esiste negli altri ordinamenti dell’Ue, presuppone che il richiedente asilo si trovi in una particolare situazione di «vulnerabilità» , determinata da situazioni contingenti o comunque limitate nel tempo, tali da precludere, almeno per la durata del permesso, un rimpatrio immediato. Rientrano, ad esempio, tra questi soggetti i cittadini stranieri richiedenti asilo affetti da patologie gravi o madri con figli minori. L’esibizione di un contratto di lavoro e l’integrazione nel tessuto sociale del nostro Paese non sono, invece, requisiti sufficienti per garantire un permesso di soggiorno di questa natura. Se così fosse, il sistema di quote di ingresso stabilito dai decreti periodicamente emanati dalla presidenza del Consiglio per la programmazione transitoria dei flussi per i lavoratori stagionali extracomunitari sarebbe sostanzialmente aggirato. Di questo avviso era inizialmente anche l’avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, che rappresenta il ministero dell’Interno nei giudizi di fronte alla Corte d’appello in materia di protezione internazionale. Finora, in giudizio, l’avvocatura si era infatti sempre opposta alle richieste di concessione del permesso «per motivi umanitari» a fronte della semplice esibizione di un contratto di lavoro da parte del richiedente asilo. Ora, però, complice l’iniziativa della prefettura di Torino, gli avvocati e procuratori dello Stato della sede torinese sono sostanzialmente stati invitati a fare un passo indietro e a far prevalere l’opportunità politica sul rispetto della lettera della legge. È meglio che queste persone disperate lavorino, anche per poche centinaia di euro al mese e con il rischio di essere sfruttate, piuttosto che rimangano illegalmente sul territorio italiano in attesa di espulsione, questo il ragionamento in voga tra gli avvocati che rappresentano i migranti. In un incontro a porte chiuse tenutosi a inizio aprile nel capoluogo sabaudo, la prefettura di Torino aveva ottenuto che i ricorsi sin qui presentati dagli avvocati dello Stato in nome e per conto del ministero dell’Interno fossero ritirati, con buona pace della discrezionalità del legislatore, al quale soltanto spetterebbe allargare le maglie della disciplina.

Benedetto Moretti (La Verità)

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