Milano 13 Luglio – Le occupazioni illegali sono reati ad alta pericolosità sociale che non solo generano insopportabili ingiustizie, ma distruggono l’autorità dello Stato e la credibilità delle istituzioni e spesso sono gestite da vere e proprie organizzazioni criminali. Le operazioni di sgombero incontrano enormi difficoltà. Occorrono sanzioni che costituiscano un vero deterrente equiparando l’occupazione illegale di una casa pubblica a reati gravi come la rapina o l’estorsione.
L’edilizia popolare, quella che viene definita sovvenzionata ed è a totale carico pubblico, vive tempi durissimi. In passato godeva di un finanziamento certo, pari all’1 per cento del monte retributivo (0,30 a carico del lavoratore e 0,70 a carico dell’impresa), ma dal 1992 il contributo obbligatorio è finito e gli amministratori sono stati costretti a vivere di entrate proprie o di Edilizia sovvenzionata: il piano scali ferroviari un’occasione di rilancio 20mila domande di assegnazione per una casa popolare che giacciono da anni negli uffici pubblici inevase contributi sempre più risicati. Le crisi che si sono succedute negli anni hanno limitato molto le possibilità di investimento, aggravato il fenomeno della morosità e hanno visto il diffondersi delle occupazioni illegali che oggi a Milano interessano 4mila alloggi. L’obiettivo di dare una casa alle fasce più povere della popolazione o ai giovani che vogliono costruirsi una famiglia è di assoluta attualità, ma c’è da chiedersi se le istituzioni e tutte le forze politiche e sociali, al di là degli omaggi rituali all’edilizia popolare, siano non solo consapevoli delle condizioni necessarie per raggiungere gli obiettivi, ma abbiano davvero la volontà politica di farlo. A Milano la «casa pubblica» riguarda quasi il 20 per cento dei nuclei familiari, una città nella città. In passato ha svolto non solo una funzione di servizio sociale, ma quando gli enti vendevano l’alloggio agli inquilini per rifinanziarsi, ha permesso a decine di migliaia di persone di divenire proprietari della loro abitazione. Il «riscatto» è stato un ascensore sociale che ha contribuito alla formazione di quella piccola borghesia operosa che costituisce uno dei fondamenti della multiforme realtà sociale di Milano. Ma i tempi sono cambiati le vendite vanno a rilento e da anni giacciono presso gli uffici pubblici le domande di assegnazione di alloggio da parte di 20mila famiglie. Senza sciogliere alcuni nodi politici l’edilizia pubblica non potrà realisticamente avere futuro. Due sono gli aspetti fondamentali che vanno contestualmente garantiti: il primo è il rispetto delle norme e la buona amministrazione del patrimonio esistente, il secondo la ricerca delle risorse necessarie. Sul primo punto, in particolare su morosità ed occupazioni abusive, bisogna essere chiari. Una volta distinta la morosità incolpevole da quella colpevole, occorre disporre degli strumenti giuridici per intervenire direttamente sui beni degli interessati, anche affidandosi alla Nuova Equitalia che potrà a breve intervenire direttamente sui conti correnti per riscuotere le imposte non pagate. Coloro che non hanno diritto alla casa popolare, debbono pagare canoni di mercato o lasciare l’alloggio.
Le operazioni di sgombero che con i tempi imposti dalle procedure attuali incontrano enormi difficoltà, devono essere garantite non solo da un maggiore impegno di tutte le istituzioni interessate, ma con più adeguate leggi. Occorrono sanzioni che costituiscano un vero deterrente equiparando l’occupazione illegale di una casa pubblica a reati gravi come la rapina o l’estorsione. Non c’è bisogno di ricordare che siamo giunti al punto di veder occupato l’appartamento di anziani ricoverati in ospedale o di persone in vacanza. Ciò detto è necessario che vadano individuate specifiche soluzioni di emergenza per situazioni di particolare disagio sociale. Ma se non sarà garantito sulla base dei fatti e non di inutili grida manzoniane il blocco totale di nuove occupazioni e il graduale ricupero delle occupazioni «storiche» ripristinando le condizioni di legalità, gli sforzi per far crescere il patrimonio di edilizia pubblica disponibile rischierebbero di essere inutili. Per quanto riguarda il secondo punto, occorre ripristinare un canale di finanziamento continuativo di natura statale in misura inferiore a quella del passato, ma diretto a intervenire nelle grandi aree metropolitane dove maggiore è la domanda di alloggi. Anche Regioni ed enti locali dovranno fare la loro parte, se l’obiettivo di far crescere adeguatamente l’offerta di case popolari è considerata dawero strategica. In particolare i grandi comuni debbono individuare nel Piano Generale del Territorio le aree su cui costruire, così come previsto dalla Legge 167/62, (cosa non fatta dall’amministrazione Pisapia) e reperire risorse da investire anche attraverso l’alienazione di beni patrimoniali disponibili. Il nuovo accordo di programma sugli scali ferroviari sarà un banco di prova per la giunta Sala sulla reale volontà di costruire un numero significativo di alloggi di edilizia popolare sovvenzionata. In questo contesto gli enti proprietari devono garantire una gestione trasparente e virtuosa che non può limitarsi all’ordinaria amministrazione. Fatti salvi i costi sociali sostenuti per la tutela delle fasce povere degli inquilini, il management deve generare livelli ragionevoli di autofinanziamento. Lo stesso fatto che esistano a Milano due soggetti come Mm e Aler che amministrano le case popolari, l’uno per conto del Comune e l’altro per conto della Regione, dovrebbe spingere quantomeno a forme di collaborazione e di coordinamento per razionalizzare e rendere più efficace il funzionamento di entrambi.
Di Walter Galbusera *presidente Fondazione Kuliscioff
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PERCHE’ ALER MILANO TIENE APPARTAMENTI RIMESSI COMPLETAMENTE A NUOVO (PAVIMENTI SANITARI SERRAMENTI MURI ECC) ???? NEL MIO PALAZZO CI SONO 4/5 APPARTAMENTI COSI’,,VUOTI DA 6/7 ANNI. SONO A DISPOSIZIONE PER COMUNICARVI LA VIA IL CIVICO .