Milano 18 Luglio – Il Dan Brown italiano vive a Lecco. Non è autore di thriller, ma di saggi storici che mirano a dimostrare le sue teorie, più avvincenti di un romanzo. E anche se è ancora in attesa di un riconoscimento ufficiale da parte del mondo dell’arte, presto i suoi trattati saranno al centro di una serie di documentari realizzati da un network americano. Protagonisti, Leonardo Da Vinci e il paesaggio lecchese, sfondo di numerose opere del pittore rinascimentale. Ne è convinto Riccardo Magnani, 54 anni, una laurea in Finanza aziendale alla Bocconi, messa nel cassetto otto anni fa quando venne folgorato dal genio vinciano. Da allora è diventato uno dei più affermati studiosi dell’artista, relatore di conferenze in Italia e all’estero, autore di pubblicazioni, detective dei misteri che si nascondono dietro le opere dell’enigmatico Leonardo. Su tutte, la Gioconda.
«La verità è sotto gli occhi di chi ha la capacità di guardare senza condizionamenti culturali», spiega Magnani. «Il trecentesco ponte Azzone Visconti, con le sue inconfondibili arcate. Il monte Barro e il corso dell’Adda che diventa lago di Garlate, mentre a sinistra svetta il San Martino. In primo piano il sorriso più famoso ed enigmatico della storia dell’arte, quello della Monna Lisa. Non la Val d’Arno o il profilo delle colline di Montefeltro a fare da sfondo. Ma la Lombardia, le montagne lecchesi e l’antico ponte all’imbocco del capoluogo come quinta del capolavoro del grande artista». Magnani parte dalle certezze: Leonardo da Vinci è a Milano nel 1483 e rimane alla corte degli Sforza fino al 1499. È affascinato dalle montagne lecchesi. Le cita nel Codice Atlantico: «I maggior sassi schopertichessitruovano in questi paesi sono le montagnie di Mandello, visine alle montagnie di leche e di gravidona». È interessato al fenomeno carsico della Grigna, dove assicurò avervi visto «cose fantastiche». Conosceva dunque Lecco e il suo territorio. «Dietro la Gioconda — spiega Magnani — c’è il ponte Azzone Visconti, mentre alla sua sinistra svetta il San Martino nel profilo che si vede da Calco, paese importante dal punto di vista simbolico perché proprio lì gli Sforza nel 1449 sconfissero i veneziani dando vita al ducato di Milano. Ma la Monna Lisa non è l’unico quadro che riproduce il paesaggio lecchese. La Vergine delle Rocce, tela conservata al Louvre, dove la Madonna è rappresentata con il Bambino e San Giovaninno, è ambientata in una grotta a Laorca. Si vedono gli spuntoni della valle Calolden, il Sasso Cavallo e il Sasso Carbonari. Ad avvallare la bontà di questa lettura, anche le specie botaniche presenti nell’opera, endemiche della zona in cui la grotta di San Giovanni Battista è posizionata, l’Aquilegia, cara a Leonardo e il Mapello, entrambe presenti nell’immediatezza dell’antro roccioso», racconta lo studioso mostrando le fotografie che raffrontate al quadro databile tra il 1483 e il 1486, dimostrerebbero l’avvincente ipotesi.
Ma Magnani va oltre. Persino lo sfondo dell’Annunciazione, realizzata nel 1472, immortalerebbe il San Martino, la vetta che sovrasta Lecco. «Le falesie dipinte sono inconfondibili. I due pizzetti, il taglio netto nella montagna», sostiene. Infine l’asso nella manica: «L’acconciatura della Gioconda era una “sperada”, la tipica raggiera legata all’iconografia di Lucia Mondella — spiega —. Pascal Cotte, lo studioso al quale è stato concesso l’onore di analizzare il quadro di Leonardo con una particolare camera fotografica, ha evidenziato attorno al capo della Monna Lisa dodici spilloni. Un mistero per il francese, che in realtà trova spiegazione nella tradizione lariana. Non si tratta di elementi casuali, ma di riferimenti cercati da parte dell’artista per tracciare nei suoi dipinti una sorta di mappa storica e culturale degli Sforza di Milano». Magnani ricorda come sono iniziati i suoi studi: «Nell’incantevole sala della Creazione di palazzo Besta a Teglio trovai un planisfero apparentemente anacronistico in Valtellina. Le coste atlantiche erano prive di ghiacci. La mia ricerca è iniziata da lì e non si è ancora conclusa». Ecco dunque che il profilo degli apostoli nell’Ultima Cena all’interno del refettorio di Santa Maria delle Grazie è perfettamente allineato con il Resegone, mentre nella Vergine delle rocce l’arcangelo indica la mano della Vergine, che altro non è se non una chiara riproduzione del lago di Como.
Barbara Gerosa (Corriere)
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