Milano 18 Luglio – “Non penso nemmeno lontanamente di candidarmi alle prossime elezioni – ha detto del tutto imprevedibilmente Giuliano Pisapia – Adesso ho un impegno a cui credo, ma non voglio incarichi istituzionali e non ambisco a nessun ruolo”. Testuale. E commentando il gesto: “Per evitare il rischio che un domani Massimo D’Alema lo faccia fuori, Pisapia si fa fuori da solo oggi”. È la Jena (su “La Stampa”) che ha colpito ancora, non soltanto perché ha fulminato, come si dice, il deuteragonista con ambizioni francamente sbagliate, come D’Alema, ma ha, nel contempo, delineato uno scenario nient’affatto tranquillo in una sinistra sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Pardon, di una scissione. Ma la sintesi suddetta, proprio in quanto tale, presuppone che il protagonista principale, l’ex sindaco di Milano, prevenga la mossa dalemiana “facendosi fuori da solo”. Ma, aggiungiamo noi, solo come uno schiaffo di risposta, una beffa all’avversario-amico, una sorta di pan per focaccia, insomma.
In realtà, la mossa di Pisapia ha gettato nello sconforto quella parte, dentro e fuori del Partito Democratico, che lo voleva come alternativa a Matteo Renzi, con un percorso ora in direzione dell’Ulivo d’antan ora verso una unità (Insieme) della sinistra, sullo sfondo di ipotesi elettorali che promuovano le coalizioni. Il che spiega anche perché, in quel bailamme della nostrana gauche, qualche minore abbia lanciato l’idea d’una cabina di regia, solo apparentemente guidata dal Pisapia. Ma, in realtà, affiancato dai due tutori Bersani e D’Alema. E, tutti insieme gli altri, a preparare il tavolo delle trattative per le liste, garantendosi fin d’ora un congruo numero di iscritti. Parliamo di bailamme perché siamo buoni, ma se si volesse, non dico infierire, ma puntualizzare, salterebbe agli occhi il gioco a dir poco farlocco e nemmeno tanto coperto, in quell’affiancamento duplice alle costole di Pisapia il quale, proprio da Bersani e D’Alema, pretendeva e pretende che rinuncino a ripresentarsi per aver superato largamente i due mandati, ottenendone in cambio un rifiuto tondo tondo.
In effetti, l’uscita di Pisapia non poteva non creare un autentico caos a sinistra, anche perché, qualche giorno prima, lo stesso aveva fatto capire, almeno agli addetti ai lavori, che si sarebbe candidato, cambiando radicalmente idea poco dopo. Perché? Qualcuno lo ha spiegato come decisione all’indomani di un incontro con Romano Prodi, il padre nobile, e oggi assai deluso, dell’Ulivo. Tant’è che vuole spostare la tenda dal campo del Pd. Altri sostengono, più prosaicamente, che l’ex sindaco di Milano abbia dato ascolto agli amici più cari col loro: “Ma chi te lo fa fare, Giuliano!”. Altri, infine, sono convinti che la dirompente decisione serva anche ad evitare di finire incastrato in quel “jeu de massacre” di cui la sinistra è artefice e, al tempo stesso, vittima. Peraltro, su un terreno di scontro sempre più ampio, fra cui, e in primis, la cacciata di Renzi, il quale si vendica, affibbiandoci, quotidianamente, pezzi e spruzzi del suo libro “Avanti”, col risultato di lasciarlo invenduto. La crisi del Governo Gentiloni mostra le divaricazioni su un tema esplosivo come quello dell’immigrazione. Ma non va dimenticata la questione dei vaccini obbligatori, così come la prossima legge di stabilità, sulla quale Bersani ha ragionato così: “Se pensano a una manovra d’autunno di sgravi e bonus senza investimenti, occhio che casca l’asino”. Asino a chi? Indovinala, Grillo!
Paolo Pillitteri (L’Opinione)
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