Milano 20 Luglio – Non è vero che andare a votare sia tempo sprecato, in quanto una volta ottenuto ciò che voleva, cioè la poltrona, del nostro voto chi è eletto se ne frega, infischiandosene delle promesse fatte durante la campagna elettorale. Votare serve e ne sanno qualche cosa i cittadini di Sesto San Giovanni, comune lombardo di oltre 80.000 abitanti diventato negli anni un tutt’uno con Milano.
Grazie alla presenza massiccia di fabbriche e operai, Sesto negli ultimi 70 anni è sempre stata una roccaforte comunista, al punto da essere soprannominata la Stalingrado d’Italia, medaglia d’oro al valor militare per il contributo durante la guerra di liberazione. Tre settimane fa però gli elettori hanno dato il benservito al sindaco del Pd e hanno nominato un primo cittadino di centrodestra. Una svolta storica, forse condizionata dall’antipatia nei confronti di Matteo Renzi, ma di certo dettata da un malumore locale. Alla gente del posto non andava a genio che l’amministrazione di sinistra volesse lasciar costruire agli sceicchi la più grande moschea del Nord. Preoccupati dall’aumento del numero di immigrati, ma soprattutto terrorizzati dal passaggio in zona del terrorista islamico di Berlino, ucciso per caso durante un normale controllo di polizia, gli abitanti della città non ne vogliono sapere di avere sotto casa un centro di preghiera che faccia da richiamo ai musulmani del circondario.
Risultato, appena insediato in municipio, il nuovo sindaco, Roberto Di Stefano, non ha posato la prima pietra del centro di culto ad Allah, ma ci ha messo una pietra sopra per sempre. Stop, la moschea non si fa perché gli elettori non sono d’accordo. Chiaro, il concetto? Così come chiaro è stato il nuovo sindaco di Monza, Dario Allevi, altra città lombarda passata da sinistra a destra. Da tempo nel capoluogo della Brianza i cittadini si lamentavano per l’invasione di clandestini. Tre settimane dopo il voto le forze dell’ordine sono state mobilitate insieme con i vigili urbani per sgomberare alcune fabbriche abbandonate che erano diventate rifugio per extracomunitari. Basta degrado in città. Certo, siamo agli inizi e i Comuni non si amministrano solo chiudendo le moschee o sgomberando gli edifici trasformati in campi profughi e terra di nessuno. Tuttavia diciamo che l’esordio rincuora, perché evidentemente non tutta la politica è da buttare.
Ho citato il caso dei due neo eletti lombardi per segnalare che, se si vuole, anche sul fronte dell’immigrazione e della strisciante islamizzazione qualche cosa si può fare e i primi a farlo, se vogliono, possono essere proprio i sindaci. La rivolta contro l’invasione infatti tocca a loro. Sono loro che, come accaduto a Messina, scendono in piazza al fianco dei concittadini. E lo stesso fanno nel Veneto e udite udite financo in Emilia.
Altro che governo, ministro dell’Interno e dipartimento dell’immigrazione. Qui se i capi delle giunte non si danno da fare e non si ribellano alle disposizioni dall’alto di un esecutivo che sugli immigrati si contraddice ogni giorno («Chiudiamo i porti, anzi no»; «Espelliamo i migranti economici, anzi diamo loro un lavoro»), in capo a un anno non sapremo più come affrontare il problema e soprattutto come risolverlo.
Ormai è chiaro che dall’Europa non possiamo aspettarci nulla. Come spiega una recente ricerca, Francia e Germania hanno spostato il confine dell’Ue alle spalle delle Alpi, costruendo il nuovo muro di Berlino: a Nord la parte progredita, a Sud le province dell’impero. Dobbiamo dunque aiutarci da soli e ci devono aiutare i sindaci, gli amministratori, tutti coloro i quali abbiano a che fare con i problemi reali e non con quelli immaginari come lo ius soli o la legalizzazione della cannabis, due argomenti che hanno tenuta occupata la maggioranza parlamentare nelle ultime settimane. Invece di inseguire l’apologia del fascismo, c’è da evitare l’apocalisse dell’accoglienza.
E a proposito di sindaci, pare che anche a sinistra qualcuno si sia svegliato. Da Bari a Catania, da Varese a Benevento gli amministratori del Pd cominciano ad aprire gli occhi e a dire basta agli immigrati. Perfino il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, renzìano di ferro e responsabile immigrazione dell’Anci, adesso ne vuole di meno. Benvenuti tra gli umani. Che non sono, come credeva Renzi, solo coloro che allargano le braccia per accogliere tutti, ma quelli che usano il cervello per rimandare tutti, o quasi, a casa loro.
Maurizio Belpietro (La Verità)
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