Milano 29 Luglio – L’iniziativa dell’Istituto Bruno Leoni in tema di “flattax” ha moltissimi meriti, a partire dal fatto che ha indotto commentatori e uomini politici a lasciar perdere per un attimo la “politica politicante”, concentrando invece l’attenzione su quanto viene tolto ogni anno dalle tasche di chi lavora. Elaborata da Nicola Rossi con la collaborazione di vari ricercatori, la proposta suggerisce una soluzione ambiziosa ma pure praticabile, immaginando tagli di bilancio che perfino la nostra classe politica sarebbe in grado di realizzare se solo avvertisse la necessità di porre al centro della propria attenzione l’esigenza di ridurre, al tempo stesso, la pressione fiscale e il debito.
La flattax, che in italiano possiamo chiamare “tassa piatta”, è una tassa semplice, dato che prevede l’eliminazione di ogni detrazione e una sola aliquota per qualunque reddito (nella proposta IBL si tratta del 25%). Si tratta allora di una regola volta a definire quanto ognuno deve pagare la quale non intende punire il successo (come succede quando si hanno aliquote crescenti), ma punta invece a stimolare al massimo chi lavora, fa impresa, realizza profitti. Non a caso molti avversari della proposta hanno invocato la Costituzione del 1947, che espressamente prevede una qualche forma di progressività. In dire il vero, anche entro questo ordine costituzionale si potrebbe giustificare la flattax disegnata dall’IBL, dato essa prevede una prima fascia a tassazione nulla e da ciò discende che, nei fatti, tale aliquota unica produca esiti moderatamente progressivi. Ad ogni modo, sono proprio le contestazioni più ideologiche indirizzate alla flattax (da parte di Enrico De Mita, Valerio Onida, Romano Prodi e altri ancora) che aiutano veramente a comprendere l’opportunità della proposta, la quale contesta la filosofia redistributiva connessa alla progressività delle aliquote e così finisce per mettere in discussione uno dei totem dello statalismo dominante.
È chiaro che tale flattax al 25% è ben lontana dal delineare ciò che un liberale sogna: e d’altra nella stessa Europa centro-orientale abbiamo Paesi con un’aliquota unica anche del 10%. Per giunta agli occhi di un liberale c’è qualcosa di violento e illegittimo in ogni tassa, dato che si tratta di ricchezza sottratta con la violenza e con la minaccia. Le imposte sono al cuore dello Stato moderno e ne condividono la natura aggressiva e oppressiva. Eppure la forza del progetto IBL consiste proprio nell’indicare una via ragionevole perfino agli occhi di tanti difensori della legalità presente: un percorso riformatore che, conti alla mano, è percorribile e che può essere rifiutato come eccessivamente liberale solo da chi non intende in nessun modo ridimensionare il peso di politici e burocratici nella società italiana. Oltre che essere semplice e oltre che rifiutare ogni celebrazione dell’invidia e del risentimento classista, la flattax dell’IBL esige tagli di spesa e delle imposte. Ed è importante che i primi siano maggiori dei secondi, al fine di iniziare a ridurre l’indebitamento.
Come ogni altra proposta, anche questa dell’IBL è migliorabile, e più volte Rossi ha sottolineato come il dibattito che essa ha generato stia facendo emergere vari suggerimenti assai opportuni. Una critica di segno liberale, ad esempio, potrebbe focalizzare l’attenzione sul pericolo di elevare al 25% l’Iva, che essendo una tassa poco percepita distorce il rapporto tra Stato e contribuenti. Non ci sono tasse buone, ma senza dubbio sono cattivissime quelle che sono in vario molto occultate e ben poco avvertite da quanti le pagano. Oltre a ciò, è fondata la tesi di chi sostiene che l’Italia non avrebbe bisogno di una flattax, ma di una ventina (almeno), messe in concorrenza tra loro. Immaginare che ogni comunità regionale sia caricata di una quota del debito e possa definire una propria flattax significa puntare su una concorrenza tra realtà locali che spingerebbe tutti a ridurre la spesa e, di seguito, ad adottare l’aliquota unica più bassa.
Tutto è perfettibile e lo è senza dubbio anche questa proposta. L’importante è che il dibattito sull’urgenza di tagliare tasse e spesa pubblica prenda quota e che la classe dirigente avverta come non ci possa essere un futuro per la nostra società senza un netto distanziarsi dai miti del socialismo e dell’egualitarismo.
Carlo Lottieri (L’Intraprendente)
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