Milano 1 Agosto – Sul caso dei cantieri di Saint-Nazaire interviene il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani. «La nazionalizzazione da parte del governo francese pone un problema politico generale: non è questa la strada per dare all’Europa una politica industriale. Abbiamo bisogno di campioni europei e non di campioni nazionali». Intanto da Parigi il ministro Le Maire propone un’intesa più larga, altrimenti la Francia aprirebbe ad altri partner.
«La nazionalizzazione di Saint-Nazaire da parte del governo francese pone sicuramente un problema politico generale: non è questa la strada per dare all’Europa una politica industriale e una politica industriale per la difesa. Abbiamo bisogno di campioni europei e non di campioni nazionali».
Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, non rinnega il diritto alla protezione degli interessi strategici. Solo che il suo orizzonte non è quello dei confini nazionali. Nel 2010, quando era Commissario europeo con la responsabilità dell’Industria, si mise di traverso al tentativo di un’azienda cinese di acquistare Prysmian, azienda italiana leader mondiale nei cavi elettrici. L’operazione saltò: «Mi opposi e feci un intervento politico. Fra l’altro, l’impresa cinese era talmente piccola rispetto a Prysmian da rendere legittimo il sospetto di essere finanziata dallo Stato. Ho fatto valere l’interesse europeo».
Lei difende un protezionismo europeo?
«Affrontiamo una dura competizione con gli Stati Uniti, anche in conseguenza dell’elezione di Donald Trump, con la Cina, con l’India e con altri giganti. Non possiamo che ragionare con dimensioni europee, altrimenti saremo marginali. E questo è vero anche per le politiche antidumping e commerciali: o parliamo con una voce sola, o i singoli Stati sono destinati all’irrilevanza. Credo poi che il mercato interno, una grande conquista che ha creato milioni di posti di lavoro e fatto crescere le nostre economie, debba spingerci verso una maggiore apertura all’interno. Nessuno ha reagito, giustamente, di fronte alle molte aziende francesi che hanno investito in Italia».
Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire respinge l’accusa di protezionismo, invocando la difesa degli interessi della Francia, così come fanno Cina e Stati Uniti.
«È l’Europa che deve proteggere i suoi interessi. L’interesse nazionale non inserito nel contesto europeo ci rende marginali e questo vale per la Francia, per la Germania come per l’Italia. Nessun Paese europeo può reggere con i grandi protagonisti della scena globale. Questo non significa che non debba essere valorizzato il made in Italy o il made in France, ma dobbiamo unire le nostre forze, non lasciare divise le nostre debolezze con iniziative singole».
Le Maire arriva domani a Roma per incontrare Padoan e Calenda. In un’intervista ha fatto un’apertura apparente sulla cooperazione militare con l’Italia, pur difendendo la nazionalizzazione dei cantieri Saint-Nazaire. Cosa ne pensa?
«È un fatto positivo, ma la nazionalizzazione rimane un problema. Nel caso di Stx non è comunque una questione tra Italia e Francia ma qualcosa di molto più importante. Non è nazionalismo italiano, pongo la questione di quale sia la strategia vincente. La cantieristica francese avrebbe solo benefici da Fincantieri, tanto più che la gestione coreana si è rivelata inadeguata. Così come preferisco che Telecom sia comprata da un operatore francese che non da uno extraeuropeo. Le sfide mondiali si vincono solo insieme».
È deluso da Macron, ripensando ai proclami europeisti della campagna elettorale?
«Il 25 marzo a Roma tutti i 27 Paesi, compresa la Francia, abbiamo firmato un documento dove si parlava di rilancio della difesa europea e forte azione in suo sostegno. Nella conferenza stampa dissi che il Parlamento europeo vigilerà affinché questi impegni vengano onorati. Mi sembra che la decisione francese su Stx non vada in questa direzione, ma in quella opposta. Comunque non si può giudicare un governo da una singola iniziativa. Mi auguro che Macron, il quale ha inaugurato la sua presidenza al suono dell’Inno alla Gioia, mantenga le sue promesse, impegnandosi a rafforzare la Ue con un contributo francese. Tutelare gli interessi della Francia non significa necessariamente andare contro l’Europa. Occorre una visione: Parigi può e deve essere protagonista ma non da sola o da sola con Berlino. L’Italia, ma anche la Spagna, hanno un grande ruolo da giocare. È positivo per esempio che Confindustria italiana e tedesca si incontrino a Bolzano in autunno».
Parlando di iniziative autonome e cambiando argomento, la Francia ha fatto una mossa sulla Libia, con il vertice parigino tra Haftar e Serraj. Può essere utile?
«Qualunque iniziativa in Libia, francese o italiana che sia, dev’essere fatta con un raccordo e il sostegno europeo. Altrimenti non stabilizzeremo mai la situazione. La scorsa settimana ho incontrato il presidente del Ciad, il quale mi ha messo in guardia dal pericolo di infiltrazione dei flussi migratori da parte delle organizzazioni terroristiche. Per la prima volta, combattenti islamici vengono attualmente addestrati in Africa da terroristi fuggiti da Iraq e Siria. Tra terrorismo, carestie e siccità, nella regione sub-sahariana lo scenario è esplosivo, rischiamo di avere milioni di persone che si concentrano in Libia. Se non c’è una strategia europea, investendo miliardi nell’intera area, ogni altra misura sarà solo un cerotto mal messo».
Ma l’intesa tra Haftar e Serraj non è un primo passo per una ricomposizione politica?
«Non ci sono solo due leader in Libia. Gheddafi era un interlocutore perché in qualche modo aveva trovato una quadra fra tutte le tribù. Se non ci rendiamo conto di questo, non avremo soluzioni politiche. Ma il punto cruciale per gli europei è agire insieme, non cercare di arrivare primi. Altrimenti commetteremmo lo stesso errore del 2011, quando ci muovemmo in ordine sparso, Francia e Gran Bretagna spinsero per intervenire militarmente, la signora Clinton lì incoraggiò e il risultato è stato il disastro che oggi subiamo».
Paolo Valentino (Corriere)
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