Milano 4 Agosto – La vita di lusso e l’etichetta di nullatenenti per dinastia e cromosoma. Egemoni in terra Bergamasca, con un patrimonio immobiliare quantificato in 10 milioni, un parco macchine che conta 1600 mezzi immatricolati in trent’anni. E, a occhio e croce, 50 milioni e 530mila euro di sproporzione fra reddito ufficialmente dichiarato dall’intera famiglia e quanto di fatto nella disponibilità della stessa. Tutto senza avere lavorato (legalmente s’intende) un solo giorno in mezzo secolo.
Per il resto gli Horvat-Nicolini, ex zingari diventati stanziali fra le terme di Trescore Balneario e l’abbazia di San Paolo d’Argon, si sono dati da fare nel tempo. In tre decenni non soltanto si sono moltiplicati (41 maggiorenni su 74 componenti la famiglia) ma fra truffe, furti e strozzinaggio hanno anche incrementato il potenziale economico. Sempre di pari passo con quello criminale.
Ingigantiti e lussoreggianti hanno anche dato la sveglia a Finanza e carabinieri. I quali, una volta visionato il tesoretto sfacciato,hanno fatto scattare sequestri e recapitato atti giudiziari nei villoni degli interessati. Provvedimenti che si accodano alle almeno trecento denunce collezionate in trent’anni e puntualmente cadute nel niente. Ora militari e magistrati ci riprovano, tentando di richiamare all’ordine questa etnia rom avvezza a campare di malavita e sfarzo. Impunemente. Incassando cifre a sei zeri invisibili al fisco che, a fronte di un piccolo impero di centinaia di milioni, riesce a incamerare 99,89 euro d’imposta annui per ognuno dei 41 componenti la famiglia. E per un totale di euro 117.
Se non fosse per questo “dettaglio” e per l’attività lavorativa legalmente non consentita, i potentissimi Horvat-Nicolini da Trescore, sarebbero la dinastia più florida e produttiva della Lombardia. Talmente prosperosa da spingere il Tribunale di Bergamo a imporre la sorveglianza speciale con “obbligo di dimora nel comune di residenza” per sei persone. “Obbligo di dimora” che per uno di etnia gitana e senza una vera patria di origine, potrebbe sembrare uno scherzo. Se non fosse che i 78 Horvat-Nicolini su quei terreni sono radicati come i bergamaschi a Bergamo. Insomma zingari con perfetto accento di Trescore.
Sotto la lente dei magistrati il trentennio che va dal 1985-2015. Dalle indagini sono venute fuori tutte le anomalie e le discrepanze tra i beni posseduti dal clan e quanto i vari componenti hanno dichiarato all’erario nel corso degli anni.
L’amministrazione finanziaria dello Stato, ai signori rom, ha anche contestato redditi non dichiarati per quasi 7 milioni di euro. E chi indaga, racconta che «gli accertamenti sono stati particolarmente complessi se non impossibili, a cominciare dalla ricostruzione della ragnatela di rapporti parentali e familiari». Il giudice ha anche ordinato il sequestro preventivo di 1 milione e 133 mila euro, corrispondenti a 7 immobili, 10 autoveicoli, conti depositati disseminati in vari istituti di credito. Tre dei soggetti attenzionati sono stati denunciati in stato di libertà per trasferimento fraudolento di beni e altre violazioni.
Stando alle indagini, i 41 maggiorenni che compongono il nucleo familiare non hanno mai svolto alcuna attività lavorativa in maniera lecita; avrebbero piuttosto aperto formalmente diverse partite Iva nel settore della compravendita di autovetture, senza però mai ottemperare ai previsti obblighi dichiarativi di natura fiscale. Altro capitolo “lavorativo” riguarda i minori e i bambini: dediti al furto, attività appresa e praticata in età precoce.
Gli Horvat-Nicolini ovviamente non sarebbero indagati di “primo pelo”. Sulla fedina penale della maggioranza sono impresse condanne irrevocabili e numerosissimi precedenti di polizia (294 deferimenti all’autorità giudiziaria a carico di 37 individui), di cui la metà per reati contro il patrimonio (truffe, usure, appropriazioni indebite).
La maggior parte delle 1.600 automobili immatricolate negli anni per un valore complessivo di quasi 30 milioni di euro erano state vendute ad acquirenti ingenui o forse soltanto incauti, che le hanno pagate senza però riceverle.
Come tutti i clan che si rispettino, anche i ricchissimi Horvat-Nicolini si sono distinti per faide familiari, sparatorie e conflitti a fuoco con le etnie rivali.
Carobbio degli Angeli (Bergamo), 6 maggio scorso, l’una di notte: contro il muro della villa in via Francesco d’Assisi 44 degli Horvat-Nicolini vengono lanciate due bottiglie incendiarie. Trescore Balneario, tre sere dopo, le 21 del 9 maggio: contro una delle ville dei rom Orvati, in via Rivi 81, vengono sparati dieci colpi di pistola. Orvati e Horvat-Nicolini, in quelle abitazioni con le belle cancellate, le finiture in pietra e i giardini curati, vivono loro: i clan di nomadi in contrasto perenne. E questi sono soltanto due degli infiniti episodi che hanno fatto scattare le perquisizioni con centinaia di carabinieri in azione ogni volta. Ci sono anche le solite decine di indagati, i decreti di perquisizione e il puntuale “tutti liberi e impuniti”. Alla faccia delle Smith&Wesson 38 special o delle Beretta calibro 9 sequestrate; e anche della tranquillità dei cittadini residenti, bergamaschi e non appartenenti ai clan.
Una guerra via l’altra per questioni passionali o di soldi. Vedi quella di Montello, 18 ottobre 2015: cinque colp isparati da una moto control’auto di uno dei Nicolini. A dicembre dello stesso anno, a Trescore, sequestrata una borsa da uomo con una semiautomatica Glock, quattro caricatori (di cui tre pieni) e una Beretta. Ancora e per gradire: il finto posto di blocco, il 5 gennaio scorso, a San Paolo d’Argon lungo la ex statale 42. Alcuni tizi esplodono quattro colpi di pistola contro un’auto di grossa cilindrata. Mai identificati né gli sparatori né l’autista. I bambini bergamaschi testimoni della scena, giocavano intanto nei loro cortili.
Cristiana Lodi (Libero)
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