Dalla Casa dei diritti alla marcia per migranti, ritratto di un politico allergico alle critiche. Ci riempie di profughi ma non si può dire.
Milano 6 Agosto – Tra i nostri affezionati lettori, possiamo senz’altro annoverare Pierfrancesco Majorino. Non perde occasione di farcelo sapere: anche nella conferenza stampa prima della pausa estiva, dopo aver fornito dati sull’immigrazione, si è premurato di aggiungere che stava dicendo il vero, non come Libero, che a suo avviso diffonderebbe notizie prive di fondamento. Le precise parole non erano queste: ci scuserà se ci siamo permessi d’aggiustare la sua oratoria non precisamente forbita. Per lui è ormai un’abitudine: con lo stile che lo contraddistingue, posta sui social e digita messaggi che traboccano un’attenzione forse un po’ troppo ruvida per i nostri articoli e per chi si occupa di queste pagine. Abituato com’è a farsi lisciare il pelo dai giornaloni, l’esser contraddetto da un piccolo quotidiano corsaro deve procurargli riflussi acidi resistenti al Maalox.
Niente di personale: non ce l’abbiamo con l’uomo, ma con la sua politica. Siamo abituati a distinguere.Un esempio, per capirci: nutriamo la massima stima per Pisapia, ma non abbiamo condiviso quasi nessuna delle sue scelte. Fu lui, anche i migliori possono sbagliarsi, ad affidare i servizi sociali a Majorino, che non mostrò un’ombra di gratitudine: alle primarie per le comunali 2016, corse per mettere all’angolo la Balzani, che di Pisapia era la candidata, così da favorire Sala, che una volta indossata la fascia tricolore si trovò costretto a riconfermarlo. D’altronde era stato il primo degli eletti nella lista del Pd. La volta precedente, a ottenere quel risultato fu Stefano Boeri, architetto di fama internazionale: un sintomo, anche questo, della crisi che attanaglia i Dem. Nella sua prima esperienza amministrativa, Majorino era relegato alla seconda fila, riuscendo comunque a far danni: come dimenticare i corsi di bondage nella Casa dei diritti, da lui fortissimamente voluta? O il centro per l’immigrazione di via Scaldasole dove però d’immigrati non se ne vedono? Un costoso deserto.
Come diceva Longanesi, sbagliando s’impera. Così, da quando si è di nuovo accomodato sullo scranno di assessore, non ha resistito alla tentazione di comportarsi da quasi sindaco. È lui a dettare la linea. Reca la sua firma l’infausta marcia pro immigrazione del 20 maggio: una volta indetta, Sala si è accodato.
Partecipanti e organizzatori appartenevano in gran parte ai centri sociali, cui in precedenza era stata affidata la festa per l’arrivo dei richiedenti asilo alla caserma Montello. Un’intesa che continua. Da mezzo renziano che era, Majorino oggi guarda alla sinistra interna e flirta con gli antagonisti. Una ventina di giorni fa se la prese con il segretario cittadino del Pd, Pietro Bussolatì, che aveva proposto di limitare i flussi d’ingresso per offrire ai migranti un’accoglienza dignitosa, e direttamente con Renzi per l’ormai celebre «aiutiamoli a casa loro». Non contento, ha litigato con Minniti sulla Bossi-Fini. Sul Corriere della Sera, all’intervistatore che, viste le sue posizioni, gli chiede se intenda uscire dal Pd, risponde di no, ma che vuol «costruire una rete nazionale di chi ha cuore il sociale».
Per ora deve accontentarsi di orizzonti più ristretti: può occuparsi soltanto di Milano, considerata alla stregua di un’Ong che imbarca chiunque, senza distinzioni. E guai a parlargli di migranti economici: s’imbufalisce. Neppure gli andò a genio il primo blitz delle forze dell’ ordine alla Stazione Centrale: su Facebook, avanza il sospetto che gli accertamenti condotti dai poliziotti -li chiama così, come un movimentista anni Settanta -non fossero rispettosi dei diritti umani.
Sempre su Facebook si trova un’altra sua perla: l’Isis, scrive, «è il nuovo nazismo»: evidentemente non riesce ad ammettere che esista I’islam radicale. La sua ultima battaglia, dimenticata l’immigrazione per una buona mezz’ora, l’ha combattuta contro Maroni che ha acquistato tablet per consentire il voto elettronico al referendum sull’autonomia; finito l’uso elettorale, saranno distribuiti nelle scuole. A Majorino, vibrante di sdegno, non basta. Attacca a testa bassa, riuscendo nell’impresa di superare i grillini nella materia in cui eccellono: la demagogia bolsa. Ruggine di antica data, che risale a quando il governatore lombardo rispedì al mittente la proposta di alloggiare i migranti nel campo base di Expo. Non è andata meglio con la richiesta alle famiglie milanesi di prenderli in casa. Restiamo in trepida attesa della nuova grande idea. L’autostima è essenziale in un politico; deve però accompagnarsi ai nervi saldi, altrimenti non si regge l’urlo del dissenso, che della democrazia è un pilastro, e si finisce per sbroccare, magari prendendo a male parole il cronista che ha il solo torto di fare il suo mestiere. Majorino studia da leader, ma gli resta ancora molto da imparare. Si rassegni: Sala è più bravo di lui.
Renato Besana(Libero)
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