Le tasse aumenteranno ancora anche se Padoan non vuole dirlo

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Milano 7 Agosto – I l sentiero è stretto. Lo dice anche il titolo della newsletter in inglese che il ministero dell’Economia diffonde mensilmente e che, per l’appunto, si chiama The narrow path («Il sentiero stretto»).

Pier Carlo Padoan ormai lo ripete da tempo: la sessione di bilancio sarà concentrata su poche priorità e, dunque, le forze politiche devono orientarsi anch’esse a questa visione minimalista nonostante la scadenza elettorale. Teoricamente una manovra poco costosa dovrebbe lascia tranquilli i contribuenti, ma basta fare due calcoli per rendersi conto che le tasse potrebbero aumentare comunque. Assumendo che la Commissione Ue dia seguito ai segnali distensivi consentendo una minore correzione strutturale del deficit (da 0,8% del Pil allo 0,3%), ciò significa che al mini-risanamento andrebbero circa 5 miliardi e gli altri 8,5 circa potrebbero essere dirottati alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (che se non bloccate porterebbero le aliquote Iva all’11,5 e al 25% dal primo gennaio) che valgono circa 15 miliardi. Resterebbero, perciò, da «coprire» 6,5 miliardi e per le spese annunciate, volendo dar seguito ai rumor che indicano un tetto di circa 15 miliardi alla portata della legge di Bilancio, resterebbero a disposizione una decina di miliardi. Considerato che il taglio netto del cuneo fiscale sulle assunzioni dei giovani under 35 (sul quale si stanno effettuando simulazioni) costerebbe oltre 7 miliardi, se ne può stimare una versione ridotta alla metà in modo da liberare quelle risorse per l’annunciata proroga dell’iperammortamento previsto dal piano «industria 4.0» che si esaurisce a fine anno. Resterebbero pochi miliardi per gestire sia il rinnovo dei contratti pubblici (5 miliardi di risorse necessarie) che le misure di contrasto alla povertà. L’aritmetica, pertanto, condanna il Tesoro a trovare nuovi introiti. E qui arrivano le note dolenti perché è ormai risaputo che gli strumenti sui quali il ministro Padoan intende concentrarsi per aumentare il gettito sono essenzialmente due: l’obbligo di fattura elettronica anche per i privati e la limatura di alcune deduzioni e detrazioni, le cosiddette tax expenditures. Per il primo serve l’ok di Bruxelles, ma è chiaro come unitamente all’estensione della reverse charge sull’Iva (trattenuta automaticamente dallo Stato ai fornitori), introdotta alla manovrina, l’e-fattura comporti una dichiarazione automatica del reddito dell’impresa e del professionista, diminuendone la liquidità. Il secondo metodo, invece, è un aumento diretto della pressione fiscale, anche se il Tesoro ha fatto sapere di voler contenere l’intervento tagliando gli sconti fiscali alle fasce di reddito più alte. Un primo esempio, sebbene tutto particolare, potrebbe essere rappresentato dall’ipotesi di dare una sforbiciate alle quattordicesime dei pensionati residenti all’estero, in particolare nell’Unione europea. Anche se si tratta di far valere il principio della «non portabilità» delle misure assistenziali all’interno dell’Europa (il cittadino comunitario che risiede in un altro Stato membro diventa egli stesso oggetto di assistenza), ne potrebbero risentire coloro che hanno scelte destinazioni meno costose come Portogallo o Canarie per godere di un assegno che in quei posti diventa pesante. Si tratterebbe di qualche decina di milioni risparmiati ma, se si guarda ad altre agevolazioni sul fronte interno, si capisce come questo nuovo orientamento potrebbe aumentare ulteriormente il carico fiscale. Proprio mentre l’Istat ha segnalato che la ripresa si sta consolidando, un duro colpo potrebbe esserle assestato. E non è un caso che ieri Confcommercio e Uil abbiano invitato il governo a pensarci su.

Gian Maria De Francesco (Il Giornale)

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