Dal campo rom di via Bonfadini a Valenza: la tratta dell’oro rubato nelle case

Milano

Milano 11 Agosto – Una delle numerose leggende metropolitane sul campo rom di via Bonfadini, vuole che l’oro rubato con i furti nelle case venga fuso in lingotti all’interno dell’insediamento, nella periferia verso la tangenziale Est. L’oro è sì depredato in appartamenti e ville di tutto il Nord Italia, spesso per mano di slavi, e portato nelle baracche per «scioglierlo» e riconvertirlo; ma la differenza è che da via Bonfadini, trasportati a bordo di furgoni portavalori di società pagate per i viaggi, i bottini finiscono nei laboratori di Valenza, il paese in provincia di Alessandria rinomato per le gioiellerie.

La prima pista

L’oro viene fuso in Piemonte e una volta «trattato» torna indietro per arricchire ancor di più i rom, in maggioranza italiani: erano arrivati dall’Abruzzo negli anni Sessanta, l’insediamento doveva essere una soluzione temporanea e poi, come sempre in Italia, il provvisorio si trasformò in eterno, nel disinteresse delle varie giunte che non hanno mai prodotto interventi concreti e risolutivi. Dopo aver incrociato fonti investigative, «voci del territorio» e indagini in corso in due regioni, il Corriere è in grado di ricostruire il nuovo fronte del mercato nero che ha base in via Bonfadini, dove la quasi totalità degli abitanti vanta precedenti di giustizia soverchiando e tenendo prigioniera la brava gente, e dove le forze dell’ordine, se vogliono entrare, hanno un’unica opzione: muoversi in forze. Le prime domande investigative sono sorte intorno a settembre. Monitorando i movimenti a Valenza, che accanto a commerci regolari ha storicamente flussi illegali, avevano incuriosito alcuni furgoni blindati, che anche fuori dagli orari di lavoro raggiungevano laboratori già «sospetti», e sulla strada del ritorno variavano il percorso con prolungate soste nelle aree di servizio. Erano i punti, probabilmente, scelti per l’incontro con i contatti e magari la consegna della «merce» ai mediatori dei boss.

Quei beni (di lusso)

Via Bonfadini ha nascosto latitanti e macchine rubate, incendiate e abbandonate ai margini dell’insediamento. Sullo sfondo proprio di un presunto rogo di lamiere, è stato girato il video rap con la partecipazione del piccolo figlio, otto anni, di uno che nel campo «conta». Il ritornello della canzone («Abbiamo di tutto») forse sarà riferito ad altro; però fa riflettere. Accertamenti patrimoniali hanno permesso di scoprire che alcuni dei capi dell’insediamento hanno consistenti proprietà in provincia, ville a più piani di gran lunga migliori, va da sé, delle baracche e delle casette in muratura (abusive). Domandarsi perché continuino a stare per molte ore delle giornate e delle notti nelle residenze precarie e disperate, è di difficile comprensione. Anche se all’interno troverete televisori al plasma di infinita grandezza e variegati tipi di comfort, da elettrodomestici ultra-tecnologici a, dicono, Jacuzzi, pare comunque plausibile ipotizzare che il campo dev’essere presidiato e sorvegliato. Sia per verificare che gli sbirri non cerchino di sistemare cimici e telecamere, sia per fare gli onori di casa agli ospiti «importanti». L’insediamento si presterebbe anche a deposito di armi provenienti dall’ex Jugoslavia e vendute a italiani e stranieri, senza voler sapere che uso ne vorranno fare. Basta che paghino.

La rete dei ricettatori

Le indagini partite da Valenza puntano a capire la ramificazione della rete. Oggi a Milano i furti nelle case sono specialità dei georgiani: l’approdo dei bottini è ugualmente via Bonfadini? Discorso collaterale, ma non meno importante, è quello della responsabilità delle società di sicurezza. I malaffari con i rom per garantire il trasporto dell’oro sembrano piuttosto un’idea di singoli lavoratori, per arrotondare, per smania di ricchezza e per collaudate frequentazioni con i malavitosi; eppure nessuno può escludere un coinvolgimento maggiore, che toccherebbe da dentro le aziende nascondendo l’esistenza di un sistema profondo e collaudato. Sembra che a Valenza, fra i commercianti, parecchi sappiano del «canale» con via Bonfadini, ma questo non significa che abbiano deciso di collaborare con gli investigatori. Più facile, semmai, potrebbe essere trovare un aiuto nel sottobosco della stessa criminalità milanese, come nell’ambiente dei ricettatori, con domande poste a balordi che possono fornire dritte. Per necessità, per regolare vecchi conti, o entrambe le ragioni.

Andrea Galli (Corriere Milano)

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