Col burqa in centro, non le controlla nessuno.

Milano

Tre donne passeggiano in Galleria col volto coperto in barba alla legge. Il Centrodestra: «Questa è la sicurezza del Pd» 

Milano 13 Agosto – Coperte da capo a piedi. Solo gli occhi riuscivano a guardare attorno attraverso la fessura del nero burqa. In pieno giorno, sotto l’affollata galleria Vittorio Emanuele. E, con i tempi che corrono, qualcuno le scantonava con non celata diffidenza. Altri le guardavano con curiosità mista a un certo timore. Sotto quel burqa, infatti, poteva nascondersi chiunque, anche un terrorista.

Del resto una legge del 22 maggio 1975, numero 152, per motivi di sicurezza, legata ad un periodo di terrorismo politico nostrano, dice: «È vietato l’uso dei caschi protettivi, o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperti al pubblico senza giustificato motivo». Ed è proprio su questo “giustificato motivo” che ci si attacca in nome di un credo religioso diverso dal nostro che non può essere discriminato. «Se non ricordo male», spiega Riccardo De Corato, capogruppo in Regione per Fratelli d’Italia, «fu il ministro Mannino a dare il nome alla legge. Una normativa che non è mai stata cambiata’ ma nessuno si prende la briga di controllare chi veste in quel modo. Sotto il burqa ci può essere chiunque. Però per motivi di opportunismo di maniera viene dimenticata, per non discriminare i musulmani. Tra l’altro se dovesse succedere qualcosa, le telecamere riprenderebbero una persona senza volto». Le tre arabe in vena di shoppinge selfy, erano arrivate con i rispettivi mariti dall’Arabia Saudita. Con un buon inglese hanno spiegato che erano venute per turismo e per fare acquisti nelle vie del centro. Della legge o quant’altro non ne sapevano nulla. «Noi rispettiamo solo il Corano. Il burqa? Una nostra scelta che piace anche ai nostri mariti che ci stanno aspettando al Savini per il pranzo». A rafforzare la tesi della vecchia legge, c’è una delibera di giunta regionale del 2015 che «obbliga a non portare il burqa negli ospedali e negli uffici pubblici gestiti dalla regione Lombardia». Una delibera contestata con un ricorso da parte di associazioni musulmane che però, in sede di tribunale civile, si sono visti respinge il ricorso. «In pratica», spiega il Leghista Fabrizio Cecchetti, vicepresidente del Consiglio regionale, «c’è un clima di frustrazione tra le forze dell’ordine a chiedere chi c’è sotto il burqa: non vogliono destare rumore per motivi religiosi. Ma con l’allarme terrorismo islamico in tutta Europa, chiedere a chi nasconde il proprio volto almeno i documenti, mi sembra il minimo». Tra l’altro, proprio per motivi di sicurezza, il re del Marocco, qualche tempo fa, ha proibito di vestire il burqa e anche i negozianti non potevano venderlo. Per chi sgarra c’è una pesante multa. Un divieto che si era reso obbligatorio perché molti uomini indossavano il burqa per non essere riconosciuti quando andavano a rubate e a rapinare. Addirittura c’erano stati degli omicidi messi in atto da malavitosi nascosti dal burqa. A Milano, invece, si può girare così vestiti in pieno centro senza che nessuno attivi i controlli.

Michele Focarete (Libero)

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