Le “deportazioni” del progetto Onu: benestanti in Libano, mendicanti a Milano

Milano

Milano – Lo sbandamento dell’immigrazione regolare e sicura si vede negli occhi di Omyama.

«Ci hanno trasformato in mendicanti, ma le promesse erano diverse» si lamenta la ventenne siriana che oggi vive nel centro di accoglienza di via Sammartini con madre padre e sette tra fratelli e sorelle. Sono rimasti in una piega dei programmi di reinsediamento, progetti delle Nazioni Unite che portano in Europa e America i migranti in modo teoricamente ordinato e regolare. In realtà anche questi corridoi umanitari hanno i loro problemi.

Omyama e la sua famiglia sono scappati dalla Siria lasciandosi alle spalle una vita da benestanti. Rifugiatisi in Libano non avevano la quotidianità di prima, «ma almeno avevamo una casa, un lavoro, la macchina» precisa la ragazza. Poi un anno fa la decisione di aderire ai programmi di reinsediamento delle Nazioni Unite: «Ci avevano promesso una casa, un lavoro, insomma una vita migliore di quella che avevamo e noi abbiamo accettato per vivere in pace in Europa – racconta – quando siamo arrivati qui però è tutto cambiato». I vestiti promessi? Ecco una lista di parrocchie dove chiedere quelli usati. Il lavoro? Vedremo. La casa? La famiglia è troppo numerosa per essere sistemata. Da avere una vita normale a vedersi in mano una mezza tazzina di olio per condire il pasto di dieci persone il passo è breve.

Il Comune ammette il problema, ma ribadisce che «trovare casa per dieci persone non è facile», anche se Omyama ribatte che lo sapevano anche prima quanto fosse numerosa la famiglia. E dall’assessorato ai servizi sociali confessano anche che «non è l’unico problema che abbiamo registrato con il resettlement: le informazioni che riceviamo sulle persone aderenti non sono sempre corrette essendo raccolte direttamente sul posto».

Nel frattempo, dramma nel dramma, c’è la questione culturale che rischia di diventare medica: il padre della ragazza ha già avuto bisogno in due occasioni di supporto medico. Le ambulanze sono state chiamate perché il fisico dell’uomo ha ceduto: da una parte lo stress di vivere da mendicanti, dall’altra quello per la condivisione di spazi con gli africani. Essendo ligi ai dettami della religione e della propria cultura, non sono abituati alla naturalezza con cui le donne africane attraversano gli spazi comuni coperte solo da asciugamani. E il problema vale anche all’inverso: «Se mi sveglio la notte per andare in bagno, devo comunque rivestirmi tutta – precisa Omyama – così è difficilissimo farsi la doccia dove ho solo uno spazio strettissimo per coprirmi e scoprirmi».

Fino ad ora le lamentele della famiglia non sono servite a niente, a parte ad avere risposte vaghe e qualcuno che seccamente gli ha gettato in faccia un «allora tornatevene in Siria». «Lo avessimo saputo prima – contesta Omyama che nel frattempo sta studiando italiano – non saremmo mai venuti e stiamo scrivendo e chiamando per dire a chi è rimasto là di non fidarsi e non venire in Europa».

Michelangelo Bonessa (Il Giornale)

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