Nei documenti dei servizi segreti i piani dell’Isis per colpire l’Italia

Attualità

Dalle informative degli 007 emerge che siamo un obiettivo caldo. Addestrate due cellule: una doveva colpire al G7 di Taormina. I jihadisti pronti a utilizzare i droni. Il killer di Berlino aiutato da nostri connazionali. Milano ad alto rischio.

Milano 25 Agosto – Prima scena: il deserto tra Israele e Giordania. Due presunti terroristi arabi che viaggiano in auto vengono fermati e arrestati dalle autorità di Gerusalemme. Nell’auto i due uomini nascondono alcuni droni con autoguida modificati con un’apertura alare più grande del normale e un pacco batteria potenziato, capaci di trasportare sino a tre chilogrammi di materiale, anche esplosivo. Gli islamici confessano il possibile utilizzo a fini terroristici dei velivoli. Seconda scena: Roma, periodo natalizio, ufficio del comandante del Nucleo informativo dei carabinieri. Aria tesa e fumo di sigarette. «Una fonte fiduciaria sono un’arma pronta per essere utilizzata anche sulla capitale . La fonte racconta dell ‘esistenza di un negozio romano dove sarebbe possibile apportare modifiche ai droni in maniera riservata e anonima. La stessa gola profonda mette in guardia l’ufficiale dei carabinieri sui furti di Suv, auto utilizzate in Israele, dopo essere state zavorrate, per attentati contro i civili. Infatti, la tipologia del mezzo combinata con il peso maggiorato consentirebbe di abbattere ostacoli fissi tipo pilomat (torrette o dissuasori semiautomatici).

  Le informative dei nostri servizi segreti sono dense di notizie di questo tipo, che non trovano spazio sui giornali, ma che servono da scudo contro il pericolo del terrore islamica. Alcune di queste carte, con accesso «riservato» , sono state consultate dalla Verità e sono ricche di sorprese.

  Secondo un altro appunto classificato, due membri dell’unità per le operazioni esterne dell’lsis con base a Sirte, in Libia, starebbero preparando attentati in Italia attraverso alcuni affiliati presenti sul nostro territorio. Il primo appuntamento (mancato) sarebbe dovuto essere al G7 di Taormina, lo scorso maggio, ma secondo gli 007 gli estremisti «potrebbero tentare di condurre gli attacchi in altro momento» . Due terroristi sarebbero già stati istruiti per condurre tali azioni. Uno, il siriano Mohammed A.A.(nel documento c’è il nome completo, ndr), sarebbe un combattente dell’lsis sbarcato in Italia per chiedere asilo politico. Dopo di che si sarebbe recato a Istanbul e forse in Germania. L’altro kamikaze sarebbe un cittadino marocchino, Mohammed H.: già impegnato in combattimento vicino a Raqqa, nel 2016 si sarebbe recato in Libia e «successivamente avrebbe fatto ingresso via mare in territorio nazionale dove tuttora risiederebbe nella città di Milano».

  Anche se per ora nessuno di loro ha colpito il nostro Paese, non è vero che l’Italia sia immune agli attacchi dello Stato islamico. E non è nemmeno vero che i tagliagole del Califfato nero ci stiano risparmiando perché siamo brava gente o gli serva un Belpaese senza tensione per usarlo come hub per sbarcare in Europa. Questo è ciò che crediamo noi. La realtà è diversa ed emerge dai documenti top secret che si scambiano polizie e agenzie d’intelligence. Lo conferma la storia di Anis Amri, il terrorista tunisino che lo scorso 19 dicembre, alla guida di un tir, ha travolto e ammazzato a Berlino 12 persone, ferendone 56. Il 23 dicembre è stato ucciso da due poliziotti durante un controllo a Sesto San Giovanni. Nel conflitto a fuoco uno degli agenti è rimasto ferito e per l’lsis questo è stato il primo attacco ufficiale al nostro Paese.

  In una velina la nostra intelligence fa presente che il 29 dicembre 2016 è stato diffuso il numero 61 della newsletter settimanale dell’lsis, Al Naba , con questo titolo in prima pagina: «L’attentatore di Berlino colpisce ancora, in Italia». All’interno si leggeva: «Dopo aver ucciso e ferito 50 crociati a Berlino ha attaccato una pattuglia crociata a Milano». Un titolo a cui faceva seguito questo testo: «Il fratello Abu Baraa AITunsi (Amri, ndr)in data 23 dicembre ha sferrato un attacco contro una pattuglia della polizia crociata nella città italiana di Milano, ferendo uno degli elementi ed elevandosi a martire come è da noi considerato (…). Si tratta del primo attacco che prende di mira gli apparati di sicurezza crociati italiani. L’Italia partecipa alla guerra contro lo Stato islamico definendola una «guerra al terrorismo» ed è membro fondatore dell’Unione europea nonché della Nato». Quindi almeno da dicembre siamo un target grosso come una casa per i terroristi del Califfato in rotta. Nel documento riservato vengono citati altri canali informativi dell’lsis che hanno dato la stessa chiave di lettura alla sparatoria. Per esempio, l’agenzia ufficiale Amaq, il 23 dicembre, aveva presentato il video con cui Amri giurava fedeltà all’lsis con queste parole: «Testamento del soldato dello Stato islamico esecutore dei due attentati di Berlino e Milano» . Quindi siamo stati colpiti anche noi. Quasi a nostra insaputa.

   Per gli 007 l’articolo di Al Naba «acquista rilevanza poiché sposta il focus da Berlino all’Italia e (…) si concentra in maniera particolare sul conflitto con la pattuglia della polizia a Milano, con la chiara intenzione di aggiungere un nuovo Paese alla lista di quelli già colpiti dai soldati del Califfo». Per questo le antenne delle nostre forze dell’ordine si sono ulteriormente alzate. Anche perché negli ultimi otto mesi sono arrivate decine di segnalazioni di attentati in preparazione. Che per fortuna non sono stati realizzati, un po’ per la bravura del nostro apparato antiterrorismo, un po’ per l’incapacità dei nostri nemici di portare a termine le missioni e un po’ perché a volte si è trattato di falsi allarmi.

Un altro appunto riservato ha indicato come aspiranti «martiri» un gruppo di tunisini che «sarebbe stato collegato con il noto Anis Amri». La «fonte fiduciaria» ha raccontato del progetto di attentati in diverse città, da effettuare, quasi contemporaneamente, a Milano, a Lione e Parigi, a San Pietroburgo, in Belgio e in Slovacchia. Un piano che sarebbe stato ideato dal responsabile delle operazioni esterne di Daesh (l’lsis) AbuAlHasr AlMuhajer. «Il progetto terroristico» si legge in un’informativa, «prevederebbe l’intervento di singoli individui o di microcellule (…) il possibile attacco terroristico a Milano potrebbe essere condotto da quattro elementi presumibilmente di origine tunisina che, prima di raggiungere l’Italia, sarebbero stati residenti in Danimarca (…). I possibili obiettivi degli attacchi in Italia e Belgio potrebbero essere le forze di sicurezza, le autorità e le istituzioni politiche e luoghi frequentati da una moltitudine di persone». L’attacco, previsto nei mesi scorsi, fortunatamente non si è verificato. In compenso i nostri investigatori hanno acceso un faro sui collegamenti di Amri nel nostro Paese, innocui o meno.

  Per esempio nell’agenda del cellulare del terrorista è stato trovato il numero di tal Maria Teresa, salvata come «Illizabetta». La donna, cagliaritana, ma residente in provincia di Catania, è stata contattata da Amri il 30 settembre 2016, tre mesi prima della strage di Berlino. Il 6 settembre risultano cinque contatti in entrata e in uscita con Massimiliano, un trentaduenne pisano. Tra il 4 e il 6 settembre il tunisino ha fatto due telefonate e scambiato un sms con il trentaquattrenne Ahmed, residente in via Padova a Milano. Dunque un anno fa Amri era entrato in contatto telefonico con tre persone che vivono in Italia. Stava già preparando la fuga?

  Uno dei profili Facebook di Amri contava una cerchia di 76 amici e«alcuni contatti, per lo più donne,erano localizzati in Italia, e dichiaravano di vivere a Roma, Napoli, Milano e in Sicilia» dove Amri è sbarcato nel zoue dove ha passato alcuni anni in carcere. Lo studio dei tabulati telefonici ha permesso di ricostruire una rete di link che dalla Germania si estendeva, via cellulare o via Internet, a soggetti di diversi Paesi europei, ma anche asiatici e sud americani. Molti di questi conoscenti a loro volta avevano ulteriori legami con persone residenti in Italia, anche di nazionalità straniera. Uno degli alias di Amri, su Internet, è risultato in rapporti con un arruolatore marocchino dell’lsis in Siria, a sua volta collegato a un utenza italiana correlata su Whatsapp all’identificativo «Asmae».

  Tra gli interlocutori di Amri c’era anche Saif Abdawi, tunisino con diversi alias, affigliato allo Stato islamico. Il fratello di Saif, Imad, avrebbe cercato di raggiungere il congiunto in Siria «transitando prima in Libia e poi in Italia, utilizzando le rotte dell’immigrazione clandestina».

  Il bulgaro Yordan Dimitrov Y., 45 anni, residente a Milano, dopo l’uccisione di Amri ha chiamato un numero verde del suo Paese d’origine e ha denunciato di aver visto nell’estate 2016 il terrorista presso un bar di piazzale Loreto in compagnia di un cittadino egiziano che si sarebbe trasferito ad Amburgo, di un libanese (che in realtà gli 007 hanno identificato come libico,sposato con una donna italiana originaria di Busto Arsizio)e di un certo Jimmy.

  Anche il denunciante, Yordan, è un bel soggetto: è stato arrestato in Francia per traffico di esseri umani, in Italia per furto e, secondo i nostri agenti, sarebbe in contatto con ambienti malavitosi e «all’interno della comunità musulmana milanese».

  Nelle carte visionate dalla Verità c’è anche una foto, scattata presumibilmente nel giugno 2015 in un luogo non precisato, in cui Amri è ritratto insieme con altri tre nordafricani. Uno di questi è Ahmed , un trentunenne egiziano residente a Milano; un secondo, nativo del Cairo, risulta «asseritamente residente a Parigi», ma è anche certamente passato da Berlino. L’istantanea con Amri è stata commentata da italiani e stranieri. Diversi di loro sono tuttora residenti a Milano e molto probabilmente sotto osservazione.

  Dalle carte che abbiamo avuto in visione si apprende anche che il tunisino, dopo la strage di Berlino, avrebbe aggiornato il suo profilo Facebook, modificando alcune informazioni sui suoi presunti studi universitari (forse per farsi bello con i giornalisti) e inserendo come immagine di copertina una traccia di pneumatico con scritto: «I like the big trucks and I cannot lie», letteralmente «mi piacciono i grandi camion e non posso mentire» . La frase è un tormentone che gira su Internet con gadget annessi. Amri, cinicamente, ha associato il «meme» alla sua carneficina. Ma il suo ghigno si è spento dopo poche ore sull’asfalto di piazza Primo maggio a Sesto San Giovanni.

Giacomo Amadori (La Verità)

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