Perché non dobbiamo avere paura delle minacce dei terroristi

Attualità

Milano 27 Agosto – Dopo l’attentato di Barcellona è tornata puntuale a circolare la domanda “perché l’Italia no?”, e puntuali sono arrivate le minacce dell’Isis all’Italia, a Roma, al Papa. Non si tratta di un inedito e, cosa più importante, le indicazioni dello Stato Islamico su chi colpire sono più propaganda che non vere e proprie istruzioni ai suoi uomini. Servono infatti a suscitare le nostre paure e paranoie, ma – toccando ferro – hanno ben scarse chance di avere un effetto concreto.

Lo Stato Islamico – come organizzazione terroristica che colpisce in Occidente, non come entità para-statale che occupa alcuni territori tra Siria e Iraq – ha una capacità organizzativa piuttosto scarsa, specie se confrontata con quella di Al Qaeda tra fine anni ’90 e inizio Duemila. Colpisce dove può e come può, non dove vuole e come vuole. Ammantare la scelta degli obiettivi dei suoi “soldati”, lupi solitari o cellule più strutturate, di significati profondi è sbagliato. La Spagna non è stata colpita perché un tempo era Al Andalus, parte dei domini territoriali dell’Islam, né perché è un alleato degli Usa nella guerra al Terrore. Allo stesso modo la Francia e l’Inghilterra non sono state colpite per punire il tradimento della causa araba dei trattati Sykes-Picot. Sono state colpite – come del resto la Germania, la Finlandia o la Svezia – perché tutte parti di un Occidente genericamente ritenuto “colpevole” e perché lì i terroristi hanno potuto colpire. Non è un caso infatti che gli Stati Uniti, il “Grande Satana”, che più di chiunque altro è considerato il nemico da abbattere per gli jihadisti, negli ultimi anni abbia sofferto molti meno attentati dell’Europa. Semplicemente la distanza geografica e il tessuto sociale americano hanno reso più difficili gli attacchi terroristici. Nonostante le continue minacce.

I “lupi solitari” dell’Isis sono persone spesso con disturbi mentali, piccoli criminali, soggetti deboli che si radicalizzano sul web e che, appunto, agiscono dove possono. Essendo nella maggior parte dei casi cittadini europei, colpiscono nella loro patria, vicino a casa, col minor grado di organizzazione possibile. Questo rende molto difficile la prevenzione, ma dimostra appunto la mancanza di una regia da parte dello Stato Islamico. Più complesso il discorso relativo alle “cellule” dell’Isis, composte anche da persone che magari hanno combattuto in Siria – come nel caso dei terroristi belgi e francesi degli attentati di fine 2015 e inizio 2016 – e che hanno un collegamento diretto con la casa madre. O che – come nel caso, parrebbe, della cellula di Barcellona – sono entrate in contatto con Imam radicali che hanno più o meno organizzato gli attentati suicidi. In questi casi non si può escludere, anzi, un ruolo dell’Isis nell’indicare i bersagli. Ma, come dimostrano appunto i precedenti, vengono scelti quelli più “facili”, perché giusto quelli lo Stato Islamico è in grado di colpire. Luoghi vicini a dove abitano i terroristi, affollati, difficili da difendere per le forze dell’ordine, come concerti, mercatini, ristoranti, strade affollate e via dicendo. Quando si cerca di fare un salto di qualità, utilizzando esplosivi in particolare, il rischio che qualcosa vada storto per gli attentatori è molto alto. Sono dilettanti, non veri “soldati”. Il caso di Barcellona, di nuovo, lo testimonia.

E torniamo dunque all’Italia e alle minacce fresche di conio dell’Isis. In base a quanto si è visto finora è molto difficile ipotizzare che una cellula non residente in Italia sia in grado di organizzare logisticamente un attentato al Papa, o a San Pietro, o in generale contro bersagli altamente simbolici e dunque protetti dagli apparati di sicurezza italiani. Pare anche difficile che una cellula non residente in Italia possa spostarsi nel nostro Paese portando con sé armi, esplosivi o altri strumenti per un attentato “spettacolare”. Quanto all’ipotesi che una cellula già esista in Italia e sia organizzata per colpire – ipotesi che non si può escludere ma che al momento poggia sul nulla -, non sarebbero certo le minacce pubblicate dall’Isis sui propri canali di informazione a determinare i tempi e i modi dell’eventuale attacco. Sarebbero anzi ordini tenuti il più nascosti possibile.

Un discorso non dissimile vale anche per i lupi solitari. Se già sono presenti sul territorio – o sono comunque in grado di raggiungerlo magari sfruttando un passaporto europeo – non c’è motivo per cui non dovrebbero aver già colpito o provato a colpire l’Italia. Se non sono presenti, che arrivino qui con quello specifico scopo li rende più facilmente individuabili ed è improbabile che la casa madre rischi di perdere la possibilità di fare un attentato anche in un Paese poco simbolico (si pensi appunto al caso della Finlandia) solo per invitare un proprio adepto a spostarsi in Italia. Senza contare, lo ribadiamo, che questi lupi solitari sono più disagiati mentali che terroristi nella maggior parte dei casi. Non vengono guidati da remoto e agiscono di propria spontanea volontà. Quando prendono la decisione di suicidarsi, perché in fondo di questo si tratta seppure in modo sanguinoso e spettacolare, lo fanno e basta.

Tutto questo non significa che l’Italia non verrà colpita. Il rischio zero di attentati terroristici, specie in una stagione di “lupi solitari” come questa, non esiste. Ma non esiste il rischio zero nemmeno quando prendiamo l’auto o quando facciamo un lavoretto domestico, anzi, sono attività quotidiane che portano con sé un rischio di morire molto più elevato. Se l’Italia sarà colpita non sarà comunque per via delle minacce dell’Isis. Sarà un caso, una coincidenza che tali minacce siano più o meno ravvicinate nel tempo. Sarà colpita perché fa parte dell’Occidente, perché un pazzo si troverà qui con la sua auto o col suo coltello nel momento in cui deciderà di porre fine alla sua vita nel nome di una qualche causa nobile ai suoi occhi, perché una cellula italiana sfuggita alle maglie degli apparati di sicurezza riuscirà a fare un attentato in Italia (eventualità secondo gli esperti abbastanza remota). Ma non perché l’ha detto l’Isis. Quello che dice l’Isis conta poco o nulla in termini organizzativi. Serve solo a farci paura e a poter dare giustificazioni posticce a eventuali spargimenti di sangue.

Tommaso Canetta (Linkiesta)

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