«Meglio convincerli che costringerli» E Pat parla ai cavalli.

Zampe di velluto

Il maestro Parelli per la prima volta in Italia: bisogna pensare come loro, Senofonte lo sapeva.

A Robert Redford, Pat Parelli non assomiglia nemmeno un po’. Una figura massiccia e due baffoni a ferro di cavallo; è un uomo di poche parole. Almeno con gli umani. Pat preferisce i cavalli, come Redford nel film tratto dal romanzo di Nicholas Evans: «L’uomo che sussurrava ai cavalli». L’inventore della moderna «doma gentile», attraverso una metodologia che porta il suo nome e diffusa ormai in tutto il pianeta, ha lasciato il suo ranch di Livermore in California per un tour in Europa. Unica tappa italiana: Bairo (Torino), ospite del maneggio «La Rolanda». Per due giorni Parelli ha insegnato la lingua degli equini. Lui ha trasformato in metodo l’intuizione di un altro californiano, Monty Roberts, l’uomo che ha ispirato il romanzo di Evans, addestratore senza frusta di centinaia di cavalli e, nel 1989, invitato di riguardo al castello di Windsor da un’entusiasta regina Elisabetta II, per spiegare a lei, che di cavalli se ne intende, le sue convinzioni sull’addestramento e la monta dei puro sangue . Pat è andato oltre: «Il mio programma -dice -ha la pretesa di insegnare a pensare come un cavallo e, quindi, a comunicare con lui».

L’uomo non deve, secondo il metodo, proporsi come padrone o predatore, «altrimenti l’animale si difenderà: non si farà prendere, scalcerà, quando sarà montato mostrerà delle resistenze . Non sono vizi, ma segnali di autodifesa e di paura». Parelli è stato invitato alla «Rolanda-da Gianfranco Brassea che da anni cerca di creare armonia tra chi monta western e chi all’inglese, due mondi opposti e concorrenti. «Non è questione di monta, ma di doma », dice sicuro Parelli. «Il mio metodo -spiega -punta a instaurare un autentico rapporto di partnership tra l’uomo e il cavallo. Prima a terra e solo in un secondo momento in sella». Parelli ha 63 anni, alle spalle studi universitari e molte buone letture: «Il primo trattato di equitazione risale a 350 anni prima della venuta di Cristo.

Senofonte diceva che è più efficace convincere un cavallo, piuttosto che costringerlo». Pat è partito proprio da questo insegnamento: «Facevo l’addestratore e mi sono reso conto che sussurrando ai cavalli, si ottengono risultati definitivi e si perde meno tempo». Parelli riceve inviti da tutto il mondo, ma viaggia poco volentieri: «Preferisco stare nel mio ranch con i miei cavalli».

In Italia il suo metodo viene applicato con sempre maggiore frequenza: «Voi avete una grande tradizione -dice -a cominciare da Federico Caprilli», il capitano del Primo Nizza Cavalleria di Pinerolo che ideò la «monta in equilibrio», il sistema naturale di equitazione attraverso il quale il cavaliere adotta posizioni armoniche rispetto ai movimenti del cavallo . «Poi c’è stato Graziano Mancinelli, chi se lo dimentica?». Il giovane stalliere senza un quattrino e cavalli di proprietà che si presentava ai concorsi in sella ai ronzini della scuola di equitazione, «e vinceva sempre», ride Parelli e ricorda lo sconcerto di nobili, aristocratici e blasonati cavalieri dell’epoca, mentre consiglia di vedere sul web Mancinelli medaglia d’oro alle Olimpiadi di Monaco del 1972 con «Ambassador». «Con quel cavallo nessun altro avrebbe vinto », forse il solo John Whitaker, uno tra i migliori cavalieri in attività, nonostante i 62 anni suonati. «Ecco -conclude Pat -, Mancinelli, sussurrava ai cavalli. Si accordava con loro per arrivare primo e loro non lo hanno mai tradito ».

Marco Bardesono (Corriere della Sera)

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