Costi, tempi, disagi e nessun beneficio: a Milano i Navigli non si riapriranno. Troppi i problemi da risolvere per un’opera che non rappresenta una priorità
Milano 8 Settembre – Periodicamente, torna l’idea di riaprire i Navigli a Milano. Qualche anno fa una commissione di esperti, su incarico del Comune, ha realizzato uno studio ponderoso. Nel 2011, in occasione di un referendum, circa 400mila milanesi si sono espressi a favore della riapertura di quelle vie d’acqua, forse nella convinzione di poter recuperare un’immagine nostalgica e pittoresca della città. Uno studio di fattibilità stimò i costi in oltre 400 milioni di euro. Ora, il candidato sindaco Giuseppe Sala ha rifatto sua la proposta durante la campagna per le primarie sostenendo che “non è un’utopia”. Ma molti si chiedono: ha senso sventrare la città per ridarle dei corsi d’acqua ormai archiviati dalla storia? Oltre che una struttura di costi, è prevedibile, nel caso, un elenco di benefici? Abbiamo posto il tema a Beatrice Majone, ingegnere, esperta in idraulica e vicepresidente dell’Associazione idrotecnica italiana, fondata nel 1923. “Innanzitutto – precisa Beatrice Majone – non è del tutto corretto parlare di ‘riaprire’ i Navigli: perchè ormai non esistono, l’acqua della Martesana non entra più a Milano e non scorre più sotto la Cerchia. I vecchi alvei sono stati completamente riempiti, si tratterebbe di scavare e costruire ex novo un sistema che non c’è più. Credo che la maggioranza dei milanesi questo non lo sappia”. “I Navigli – spiega – risalgono all’XI secolo, nacquero sull’esigenza di trasportare passeggeri e merci, e rappresentano un sistema unico in Europa, che ha fatto la storia della città. L’idea originaria era quella di portare acqua ai campi per lo sviluppo dell’economia agricola. Il disegno fu potenziato nei secoli, e grazie al Canale Villoresi, aperto nel 1890, l’acqua arrivò a tutta la pianura padana. Intorno al 1930 si cominciò a chiudere i corsi d’acqua a Milano, e furono tombati anche il Seveso, il Lambro e l’Olona. Il sistema è compesso, costruito sulle connessioni tra corsi naturali e canali artificiali. Si tratta di un sistema idrografico non pulito, che riceve contributi da tutto il tessuto industriale di Milano e del Nord della provincia. Va considerato che dell’acqua sporca veicolata in vari corsi, finirebbe in città. E questo è un serio problema che dovrebbe essere adeguatamente gestito”.
Perchè furono chiusi i Navigli in città, negli anni Trenta?
“Soprattutto per problemi igienico-sanitari e di viabilità. Quando i Navigli derivati dalla Martesana – 7,5 chilometri da Gioia fino alla Conca – furono chiusi e interrati. Accanto alla sede del Naviglio fu posta la fognatora principale, con un cunicolo tecnologico per i sottoservizi. Negli anni Settanta, però, all’aumentare dell’intensità e del peso del traffico veicolare, ci furono numerosi casi di cedimenti e di voragini. Fu un problema serio. Il Comune incaricò una commissione e si finì per riempire tutto. Oggi la Cerchia interna è un ex alveo, riempito e coperto”.
Come si presenta questo sottosuolo?
“Si tratta di materiale vario, compattato, sul quale è stato colato un tappo di calcestruzzo”.
Quindi per riaprire i Navigli si dovrebbe scavare e smaltire tutto il materiale.
“Appunto. Credo che questo non sia chiaro a tutti. Non so se siano stati effettuati dei carotaggi adeguati. Non è detto nemmeno che nei vari tratti i materiali siano gli stessi”.
Riaprire i navigli provocherebbe nuovi problemi per la viabilità.
“Se c’è un corso d’acqua, ci devono essere dei ponti per attraversarlo. Un ponte in città è funzionale se a raso, perchè una salita e una discesa provocherebbero dei rallentamenti al traffico. Ma se si dovesse prevedere il passaggio di battelli, specialmente a scopo turistico, si dovrebbe scavare più in basso. Ne conseguirebbe che dalla barca si vedrebbero più che altro degli alti muri di sponda. Sul Naviglio grande ci sono ponti alti, come si vede, perchè passavano imbarcazioni di una certa dimensione. Non è immaginabile che ponti simili possano esserci in zone centrali come Fatebenefratelli o San Marco?”
Il materiale sottostante potrebbe risultare contaminato?
“Ci sono buone probabilità, e le bonifiche sono un altro tema da mettere in conto”.
Andrebbero riorganizzati i sottoservizi.
“Sì, e tra gas, acqua, fibre ottiche, telefonia, c’è una grande quantità di linee da gestire”.
Sarebbe un cantiere complesso.
“Soldi, tempi, disagi. La cantierizzazione avrebbe un impatto pazzesco su Milano. Se anche i soldi fossero immediatamente disponibili, e non sono pochi, occorrerebbero almeno 5-6 anni. L’aspetto legato ai disagi per il traffico è stato studiato da Giorgio Goggi, ex assessore ai trasporti”
Il suo responso?
“Dice che gli scompensi per la circolazione sarebbero enormi. Sconsiglia. Poi non ci sono solo le conseguenze sul traffico. Pensi a quelle sui negozi, e gli indennizzi che andrebbero pagati. E poi l’esperienza insegna che certi cantieri si sa quando cominciano, ma non quando finiscono. Per il Passante ci abbiamo messo vent’anni. Per non parlare dei parcheggi”.
Lei vede dei benefici in quest’opera?
“Potrebbe forse esserci una valorizzazione turistica per il centro di Milano. Questioni legate allo sfruttamento energetico, alla geotermia, mi sembrano invece tutte da dimostrare”.
Poi ci sono i problemi legati all’acqua…
“Per rendere i Navigli navigabili l’acqua di piena in arrivo dalla Martesana andrebbe regolata. La Martesana non è navigabile e ha un notevole dislivello rispetto al resto. Sarebbe poi costosissimo mantenerli, dragare il fondo regolarmente: sarebbe un nuovo costo di manutenzione della città. Occorrerebbero monitoraggi idrometereologici per capire quanta acqua arriva e quando. Andrebbe previsto un sistema di chiuse a monte…”.
In conclusione, secondo lei si riapriranno i Navigli in città?
“Milano ha altre priorità, a cominciare dall’inquinamento atmosferico. E’ meglio che la città si concentri sulle vere esigenze”.
Paolo Stefanato (Il Giornale dell’Ingegnere)
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