Milano 17 Settembre – Nei libri dormono mille canzoni. Alcune sono state già suonate e cantate, rielaborate, riadattate, altre e altre ancora ne verranno. E tuttavia indagare i debiti della musica rock e pop nei confronti della letteratura è ricerca affascinante, che va a toccare le corde più profonde dell’immaginario popolare. Lo hanno fatto una serie di autori nel libro curato da Walter Gatti per la collana “Le parole della musica”. Una selezione di 100 successi analizzati in rapporto al libro o alla poesia che li ha ispirati (L come Libro, Abe editore, con testi di Alessandro Berni, Luca Franceschini, Gabriele Gatto, Fausto Leali, Davide Palummo, Francesco Verni).
GLI AUTORI SONO COME “SPUGNE”. Del resto i poemi omerici non furono forse prima cantati che letti? E da allora, fino al Nobel assegnato al “menestrello” Bob Dylan, questo legame indissolubile e strettissimo tra musica e letteratura, tra musica e poesia, non si è mai interrotto. E non poteva essere altrimenti, poiché gli autori di canzoni sono come “spugne”: assorbono dal passato e dal presente, rielaborano, testimoniano, attualizzano e danno continuamente nuova vita a capolavori che sono l’ossatura culturale di riferimento da secoli per generazioni e generazioni. Lo stesso Dylan, incoronato poeta del nostro tempo, deve molto a Pound ed Eliot come si evince ascoltando la splendida DesolationRow (1965) riproposta da Fabrizio De André con Via della Povertà (1974).
Nel 1974, stesso anno, troviamo un David Bowie che trasfigura in versi apocalittici la visione orwelliana di 1984 nell’album Diamond Dogs: “Apriranno il tuo bel cranio e lo riempiranno d’aria/ Ti diranno che hai 80 anni/ ma, amico, non te ne importerà nulla/ ti farai di qualsiasi cosa e il domani non arriverà mai”.
CÉLINE, GRANDE INFLUENZA. Se dal futuro vogliamo lo sguardo al presente, lo scenario non è meno sconfortante. Chi scrive canzoni non può fare a meno, guardando tra le pieghe della contemporaneità, di utilizzare il nichilismo corrosivo di Céline: pensiamo a Giorgio Gaber nella canzone La Festa dello spettacolo Polli d’allevamento (1978), ma anche all’opera di Piero Ciampi fino all’esplicito omaggio allo scrittore francese da parte di Vinicio Capossela che al protagonista del Voyage, Bardamu, dedicherà una canzone del suo album Canzoni a manovella (2000). E non va dimenticata la citazione céliniana in una canzone (End of the Nigth) di Jim Morrison contenuta nell’album dei Doors del 1967: “Prendi l’autostrada per la fine della notte/mettiti in viaggio verso la splendida mezzanotte”.
Se il Viaggio di Céline è un classico del disfacimento dell’Occidente, Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol resta un classico della letteratura per l’infanzia tra i più citati nel repertorio musicale italiano e straniero. Alice ispirerà una folta schiera di musicisti: Peter Hammill, i Toto, i Jefferson Airplane, gli Yes e John Lennon e anche il nostro Francesco De Gregori.
BENNATO ISPIRATO DA PINOCCHIO. Restando sulla scia dei cantautori italiani, altri – come Enrico Ruggeri e Edoardo Bennato – opteranno invece per il Peter Pan di Barrie senza dimenticare che Bennato, ispirandosi alla favola di Pinocchio, inciderà un intero album, Burattino senza fili, trasgressivo e dirompente al punto da portare all’identificazione di Pinocchio con i contestatori del Movimento del ‘77.
LED ZEPPELIN, RIFERIMENTI A TOLKIEN. Tra i grandi classici che ispirano canzoni non poteva mancare Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, cui fa diretto riferimento il testo di Ramble On (1969) dei Led Zeppelin: “Era nelle oscure profondità di Mordor, ho incontrato una ragazza così bella/ Ma Gollum e il maligno si sono insinuati e sono scappati via con lei… così comincia il mio cammino/ ah certe volte mi stanco così tanto/ ma so che c’è una cosa che devo fare…”. Una canzone che segna proprio l’inizio della rivoluzione stilistica del rock cui il gruppo dei Led Zeppelin diedero un poderoso contributo.
Si ispirano invece non a Tolkien al capolavoro di Bulgakov, Il Maestro e Margherita, i RollingStones in uno dei loro brani più famosi, Sympathy for The Devil in cui il diavolo si presenta accompagnato dalle congas e dal piano: “Sono stato in giro per tanti e tanti anni/ ho rubato anima e fede di molti uomini…”.
I DIRE STRAITS E ROMEO E GIULIETTA. Passando dagli antri mitologici di Mordor e dal Lucifero rock di Mick Jagger agli amori tragici cantati da Shakespeare è impossibile non pensare al moderno, malinconico Romeo di Mark Knopfler e dei Dire Straits e al suo monologo che dà sostanza all’indimenticabile, struggente Romeo and Juliet (1980): “Un Romeo stregato dall’amore/ canta una serenata per le strade/ intristendo tutti con una canzone d’amore scritta da lui/ trova un lampione, fa un passo fuori dall’ombra/ dice qualcosa come: ‘Piccola, cosa ne dici di me e te insieme?’“.
Non meno celebre un altro amore sfortunato, quello di Kate e Heathtcliff nel romanzo ottocentesco di Emily Bronte, Cime tempestose. Kate Bush, affascinata dal romanzo, ne trasse una canzone – WutheringHeights (1978) – che deve il suo successo alla particolare voce quasi da soprano dell’artista e all’atmosfera da fredda brughiera della musica grazie ai notevoli arrangiamenti in forma di ballata e alla chitarra di IanBairson.
MEDIOEVO NELLA CANZONE ITALIANA. Infine, è notevole il modo in cui la canzone autoriale italiana ha saputo rivisitare tradizioni letterarie popolari e colte. Dal medioevo caustico e ribollente di umori delle ballate di Fabrizio De André, sulla scia di George Brassens, al medioevo dei folletti e delle fate delle liriche di W.B. Yeats messe in musica da Angelo Branduardi passando per la Signora Bovary di Francesco Guccini. Così, di nota in nota, di parola in parola, musica e letteratura si fondono continuamente insieme, per consolarci e interrogarci, per continuare a parlare all’anima.
Annalisa Terranova (Lettera43)
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