Mario Volanti, fondatore di Radio Italia: “Non poteva nascere che qui, a Milano, cuore della nostra discografia”

Cultura e spettacolo

Milano 18 Settembre – «Quando ci trasferimmo da Messina a Milano avevo un anno: in casa i miei genitori parlavano siciliano, e quando scendevo in drogheria dovevo capire il milanese. Ma non è stato difficile integrarsi». Mario Volanti è il “signore delle radio”, editore, presidente e fondatore di Radio Italia, la prima emittente a trasmettere solo musica italiana, in un periodo, i primi anni Ottanta, in cui la programmazione radiofonica guardava soprattutto all’estero.

Qual è la mappa meneghina della sua infanzia?

«All’inizio abitavo in via Iglesias, era l’ultima casa di Milano, mi affacciavo per aspettare mio padre che tornava dal lavoro e vedevo solo prati. Poi mi trasferii in via Democrito e via Paolo Paruta 62, entrambe nella zona di via Padova».

Com’era allora quella zona?

«Diversissima da oggi. Frequentavo l’oratorio della parrocchia di San Giuseppe per giocare al pallone e suonare col mio primo gruppo, “Il Complesso”: prima le prove, poi il debutto a uno spettacolino per la scuola delle suore di fronte, avevo 12 anni. Quattro anni dopo entrai in contatto con Emy Cesaroni, oggi dimenticata, che allora cantava la sigla del primo programma di Pippo Baudo: “Settevoci”. Per un po’ si paventò persino l’ipotesi di suonare con Fausto Leali. Poi invece entrai nei Gens, e infine negli Opera».

C’è un luogo di Milano a cui è affezionato?

«Uno su tutti Porta Venezia, tutto è iniziato lì, con Radio Metropoli in viale Majno e con le prime sedi di Radio Italia: via San Gregorio e via Felice Casati. Quando avevamo ospiti importanti i fan si accalcavano in corso Buenos Aires. Vicino a noi c’era l’Isola del Panino, da cui fortunatamente potevamo accedere attraverso il cortile interno».

Ci portavate anche gli artisti?

«Sì, ricordo Riccardo Cocciante per esempio, era il 1991 e aveva vinto il Festival di Sanremo con Se stiamo insieme. Ho un’immagine di lui che, bevendo un caffé non zuccherato, mi raccontava di una sua durissima dieta per dimagrire. Ma più spesso venivano i camerieri in radio a prendere le ordinazioni: era difficile andare all’Isola del Panino con Renato Zero».

Dove ha assistito al suo primo concerto?

«Al Teatro Lirico: lì ascoltai i Pooh, Ornella Vanoni e Gino Paoli. Contiene 1.500 persone, ma a diciott’anni mi sembrava enorme».

Cosa vede migliorato nella città dal punto di vista musicale?

«Milano è sempre stata il cuore produttivo e discografico della musica italiana, le multinazionali e le etichette sono sempre state qui. Quello che non c’era a Milano erano i live in centro: li si organizzava soltanto a San Siro, al Palalido, al Vigorelli o al PalaTrussardi: tutti luoghi fuori dal centro. Una delle prime manifestazioni in piazza Duomo l’abbiamo pensata noi, nel 1998. Dopodiché è arrivato il tradizionale concertone di Radio Italia, e altri hanno seguito il nostro esempio».

Il prossimo 8 ottobre parteciperà ai DreamersDay al Teatro Dal Verme, qual è il suo sogno per la città del futuro?

«Oggi Milano è una città difficile. Anche Porta Venezia è molto cambiata, e non in meglio. Io che Milano l’ho vissuta dal 1955 non la riconosco più. Ci sono due Milano: quella dei milanesi e quella multietnica. Spero che torni possibile per un bambino scendere a giocare a nascondino in via Padova, come potevo fare io».

Nicola Baroni (Il Giorno)

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