Raccontano mille cose su Totò, vere, verosimili, strampalate, irreali e affascinanti, come scrive il collega Mattias Mainiero. Ma sul suo amore per i cani non c’ è alcun dubbio. Il Principe della risata ne accudiva 220 (e li chiamava «i miei angeli»). «Che se ne fa di 220 cani?», gli chiese Oriana Fallaci in un’ intervista.
Rispose: «Me ne faccio, signorina mia, che un cane val più di un cristiano. Lei lo picchia e lui le è affezionato l’ istesso, non gli dà da mangiare e lui le vuole bene l’ istesso, lo abbandona e lui le è fedele l’ istesso. Il cane è nu signore, tutto il contrario dell’ uomo». Ripeteva spesso: «Io mangio più volentieri con un cane che con un uomo». Spesso divideva la tavola con il suo amato Dick:
«’O voglio bene assai; si perdere l’ avesse? Nun sia maie! Per me sarebbe un lutto nazionale. L’ aggio crisciuto comm’ a ‘nu guaglione cu zucchero, biscotte e papparelle…»). Al pastore alsaziano, cane poliziotto in pensione, che recitò con lui in Totò a Parigi dedicò una poesia: «Fenomenale Dick… capisce tutto… lle manca ‘a parola».
E quando sparì, stabilì una ricompensa per chi l’ avesse ritrovato e, sempre generoso, regalò somme di denaro a chi gli portava cani che gli somigliavano. Arrivarono in 12. Un bel giorno con sua grande gioia, Dick rientrò a casa da solo. Totò si occupava di animali già da piccolo. Era un combattente, pronto a sfidare gli scugnizzi più violenti (nel rione Sanità a Napoli) pur di proteggere cani randagi (e gatti) dalle loro grinfie. E quando non riusciva a salvarli costruiva loro piccole bare con le scatole di scarpe.
Crescendo non perse l’ abitudine di soccorrere ogni animale in difficoltà che incontrava per la strada: nel 1956 fece curare il meticcio Mosè, un cagnolino randagio finito sotto un auto e incaricò due tecnici dell’ Università La Sapienza di costruire una protesi con delle rotelline per sostituire le zampe posteriori. La notizia fece molto scalpore e soprattutto venne criticata duramente dai più insensibili e maligni. Poco importò a Totò («Questi piccoli esseri indifesi hanno bisogno di essere protetti dalla cattiveria degli esseri umani»): tenne con sé Mosé fino alla fine. Il cagnolino lo precedette nella dipartita soltanto di un mese.
Nell’ ultimo periodo della sua vita il principe de Curtis teneva con sé un cane lupo e un barboncino, Barone e Visconte, un pappagallo che lo chiamava eccellenza e un gatto, battezzato Maestà, che però dovette presto donare al suo autista Cafiero, perché si azzuffava con i cani e puntava pericolosamente il pappagallo. Spesso nei suoi film gli amici a quattrozampe facevano da comparse, come in Animali pazzi o nella commedia Sarchiapone e Ludovico, dove l’ asino e il cavallo sono i due protagonisti principali.
Totò si è occupato per tutta la vita di canili e rifugi in difficoltà. E nel 1965 fece costruire personalmente a Roma l’ Ospizio dei Trovatelli, un canile moderno e attrezzatissimo che visitava regolarmente (pesava sul suo portafogli 45 milioni di lire annue: allora erano davvero tanti soldi), commuovendosi sempre quando i cani, riconoscendolo, gli facevano le feste abbaiando, mugulando, scodinzolando, puntandogli le zampe sul cappotto. E lui ricambiava l’ affetto con tante carezze. E amore.
di Daniela Mastromattei
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Non ci sono commenti particolari perché tutte le frasi rivolte ai cani di Toto’ sono frasi d’amore.
Bello molto bello