Tra un mese la consultazione per ottenere il decentramento dei poteri in settori strategici: dal commercio alle infrastrutture, i 5 stelle chiedono lo stesso in Liguria, e pure la rossa Emilia Romagna ci sta pensando.
Milano 22 Settembre – Ottobre sarà il mese delle autonomie nel Sud dell’Europa. Si voterà in Spagna, per l’indipendenza della Catalogna, in un clima di tensione che già ieri ha dato i primi infausti segnali, con l’irruzione della polizia nazionale negli uffici del governo regionale e decine di arresti. Il 22 invece, in tutt’altra-situazione, toccherà a Veneto e Lombardia, con 15 milioni di cittadini chiamati ad esprimersi per l’autonomia delle due regioni traino del nord Italia.
Dopo aver osteggiato a lungo l’idea del referendum consultivo, voluto dai governatori della Lega Nord, Roberto Maroni e Luca Zaia, anche il Pd ha dovuto cedere all’effetto urne. I sindaci sul territorio, per non essere cancellati dalla storia, fanno la corsa per appoggiare il Sì (cioè il voto favorevole all’autonomia regionale), mentre i 5 stelle, già favorevoli, propongono di replicare in Liguria. E persino la vicina Emilia Romagna abbozza una ricetta ultralight, che non scontenti elettori né governo. Così alla Lega non resta che sopportare in silenzio, dopo le critiche, le strette di mano. L’obiettivo vale, però, il sacrificio: tenere in cassa almeno la gran parte di quei 54 miliardi di euro che ogni anno la Lombardia versa allo Stato centrale, sotto forma di tasse, e che poi non tornano indietro in servizi (residuo fiscale) . E stesso principio per il Veneto, che regala ogni anno più di 15 miliardi all’indirizzo di Roma. Come? Applicando la Costituzione là dove prevede (articolo 116 e seguenti) «forme e condizioni particolari di autonomia (…)possono essere attribuite alle Regioni», con «legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti e sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». Alla trattativa che prelude gli accordi con il governo centrale bisogna arrivare preparati e soprattutto forti dell’appoggio della volontà popolare. Per questo è stato indetto il referendum. Ad esprimersi sono chiamati tutti gli iscritti alle liste elettorali delle due regioni, le urne saranno aperte dalle 7 alle 23 del prossimo 22 ottobre, votare Sì significa sostenere il percorso regionale verso l’autonomia. Non è previsto un quorum e in Lombardia si voterà non più su carta ma su 24.000 tablet appositamente acquistati. Se la chiamata alle urne avrà successo e se la maggioranza voterà Sì, si aprirà un tavolo di confronto tra gli enti, come prevede la costituzione. I due governatori chiederanno di poter assumere direttamente funzioni amministrative che oggi sono gestite a livello centrale, ma che rientrano tra le competenze che una Regione può gestire autonomamente (materie di legislazione concorrente, ndr). In ballo ce ne sono 22: dal commercio con l’estero all’istruzione, dalla salute al lavoro, dalla protezione civile alla produzione dell’energia, fino alla gestione delle aziende di credito a carattere regionale. Veneto e Lombardia puntano a portarne a casa il maggior numero possibile. Per ogni funzione ottenuta in delega, Roma dovrà lasciare (secondo una percentuale che verrà stabilita in sede di trattativa) sul piatto i corrispettivi fiscali che fino ad oggi ha incassato e gestito. Poi, una volta ottenute funzioni e corrispettive risorse, le Regioni dovranno rimboccarsi le maniche. Le cose da fare non si contano. A partire dal dotarsi di un apparato politico amministrativo realmente in grado di realizzare una svolta di portata storica. Il modello a cui puntare è quello del Trentino Alto Adige. Lì l’autonomia si è realizzata alla massima potenza e la gestione diretta delle funzioni è così spinta che Bolzano ha chiesto, e ottenuto, di organizzare direttamente il servizio postale mentre Trento punta addirittura ai tribunali. Ma anche senza salti in avanti, gli effetti di una gestione diretta delle principali competenze, oggi delegate a Roma, sarebbero immediati. La protezione civile, tanto per fare un esempio di attualità: in una regione autonoma, se c’è un’emergenza, non si aspettano più le gentili concessioni del governo centrale, ma è l’ente locale a stanziare i fondi necessari per farvi fronte. Oppure la scuola: il problema delle supplenze può essere eliminato con l’assunzione diretta degli insegnanti che, in cambio di uno stipendio rimpolpato dagli integrativi, garantiscano una continuità operativa alla sede di assegnazione. E, ancora, le infrastrutture: con le strade in carico diretto, come in Trentino, la viabilità può cambiare faccia. E, infine, ovviamente ‘le aziende: che con l’autonomia possono finalmente ottenere referenti vicini -a cui chiedere permessi, incentivi e progetti di sviluppo. Certo si tratta di cambiare mentalità: mamma Roma non c’è più e il territorio può contare solo sul proprio Pil. Se cala, calano le risorse in un’equazione, per la maggior parte degli italiani ancora del tutto sconosciuta.
Alessia Pedrielli (La Verità)
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