Il gatto nella storia. In Egitto chi lo uccideva era condannato a morte.

Zampe di velluto

Considerato divinità in India e protettore della casa in Russia Amato dagli Etruschi, pure Maometto fece follie per lui.

Proviamo, con un gatto sulle ginocchia (come chi scrive, ndr.), percorrere la storia del nostro amato amico peloso… Ci viene incontro la storia egizia dato che è proprio qui che nascono i primi termini per indicare l’amato felino: Myeou, suono onomatopeico, è il primo che si conosca che indichi un gatto di sesso maschile e Techau, gatta, che appare inciso alla base delle statuette funerarie, nelle tombe femminili. Ma è proprio questo ultimo termine, guarda caso al femminile, che ci porta a Chau, con cui i Copti chiamavano il gatto. Erodoto, nel 400 a.c., ci fa conoscere con le sue splendide pagine questo felino e di dar lui il nome di Ailouros (coda mobile) mentre nell’antica Roma il gatto selvatico era detto Felis (felino). Ottocento anni dopo, nel IV sec d.C., compare proprio il termine Cattus, presumibilmente di matrice germanica e sarà all’origine del nome nella maggior parte delle lingue europee (cat inglese, katz tedesco, gato spagnolo e portoghese, chat francese, kochka russo). Sono molti documenti che ci portano ancora una volta agli Egiziani come primo popolo dedito ad addomesticare i gatti, circa 4.500-4.000 anni fa, anche se, in una prima fase, non esisteva il gatto domestico, ma il prezioso felino veniva adorato come una vera e propria divinità.

Le prime testimonianze risalgono all’Antico Regno e si possono leggere nel “Libro dei Morti” dove il gatto è identificato sostanzialmente con il leone, combatte contro Apophis, il pitone delle paludi simbolo delle forze malvagie. Gli occhi dei felini, trattenendo i raggi della luce solare e con la possibilità di vedere nell’oscurità, grazie alloro colore rifrangente con il buio, spaventarono i malvagi salvando il mondo. Principalmente la magia dei felini è legata alla dea Bast (o Bastet) protettrice dei gatti e chi si prendevano cura di loro: una dea potente, simbolo della femminilità, della magia e della sensibilità. Bast è rappresentata come gatto, o come donna con la testa di gatto, e si credeva che viaggiasse con un carro trainato da grandi e potenti micioni. Nell’antico Egitto chi uccideva un gatto, seppur involontariamente, era condannato a morte e quando un gatto moriva, anche per cause naturali, i proprietari usavano rasarsi le sopracciglia e il capo in segno di lutto. La pupilla del gatto subisce cambiamenti di spessore e luce che ricordano le fasi lunari e veniva celebrato per la sua indole segreta e misteriosa e per la sensibilità alle manifestazioni magnetiche ed elettriche e persino la sua abituale posizione raggomitolata e la facoltà di dormire per giornate intere donavano a queste creature speciali l’immagine della meditazione, addirittura esibita ad esempio per i candidati all’iniziazione rituale.

E giusto per una caratterizzazione di genere il gatto maschio era sacro al Sole e a Osiride e la femmina sacra alla Luna e ad Iside. Dall’Egitto il gatto arrivò nel resto dei paesi arabi, dove il nostro amico venne preso rapidamente in simpatia e la sua fama ben presto eguagliò quella del cavallo. Una leggenda racconta della simpatica gatta di Maometto, Muezza, addormentata sulla manica di un abito del padrone cosicché quando Maometto dovette allontanarsi, non volendo disturbarla, preferì tagliare la manica della veste. Al ritorno del Profeta, la gatta Muezza si inchinò in senso di gratitudine e i Maometto la accarezzò tre volte, sul dorso: questo gesto da allora consente secondo la leggenda al gatto di atterrare dall’alto sulle zampe. Anche gli Etruschi e i Romani conoscevano il gatto, del quale apprezzavano i servigi sia come animale da lavoro (per debellare i topi) sia come amico per compagnia. La dea latina Diana, legata alla lunarità e alla femminilità, proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con l’ambiente naturale, i boschi, la flora e la fauna e per sedurre il bellissimo fratello Apollo prese proprio la forma di gatto. Altre culture hanno divinizzato la dea Shasti, divinità felina simbolo di fertilità e maternità; in Russia, Domovoj gatto protettore della casa e di chi la abita; Tjilpa totem ancestrale australiano, dalla forma di uomo-gatto e i Para che erano gli antichi spiriti domestici finnici, con l’aspetto di felini.

In Cina il gatto era considerato benefico portatore di prosperità e veniva anche mimato nelle movenze delle danze agrarie oppure nelle culture dei nativi americani dove era simbolo di destrezza, riflessione e ingegnosità. In area orientale ci raggiunge la leggenda del Sacro di Birmania del tempio Khmer della Myanmar che ospitava una folta popolazione di gatti sacri. Si narra che, nel corso di un assalto al tempio, il Gran Sacerdote del Tempio fu ferito a morte ed il suo fedele gatto si accucciò sopra di lui, rivolgendo lo sguardo alla divinità del tempio. Il mantello del gatto divenne dorato e gli occhi blu e quando la bestiola si voltò verso la porta del tempio, le sue zampe si colorarono di marrone tranne le punte, appoggiate sul Sacerdote morente, che rimasero bianche. In quel momento, guidati dallo sguardo del gatto -il Sacro di Birmania arrivato ai nostri giorni con queste caratteristiche -che si rivolgeva alle porte del tempio, i monaci si salvarono dal saccheggio e dalla distruzione.
LUCIA LEONESSI (Libero)

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