«Nannarella» non si adattò agli Usa. Troppo focosa, come disse Brando. Ma anche molto gattara, secondo Tennesee Williams.
Le star internazionali, da Brigitte Bardot a Sophia Loren, prima d’essere attrici erano donne sexy e attraenti. Fa eccezione Anna Magnani, che non era né glamour, né seducente, pur essendo arrivata in vetta, all’Hollywood: fu la prima attrice italiana a vincere l’Oscar con La rosa tatuata (1955), fiIm scritto per lei da il commediografo Tennessee Williarns, due premi Pulitzer. Il quale la impose come Serafina delle Rose, personaggio che aprì a «Nannarella» le porte della Mecca dei Cinema, legandosi alla sua attrice feticcio in un’amicizia lunga un quarto di secolo. Finita l’ondata celebrativa per il quarantennale della morte di Anna, un libro di Barbara Rossi Anna Magnani. Un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood (Le Mani Editore, pagg. 398, 20 euro) ci ricorda il periodo hollywoodiano della diva, intensa protagonista del teatro e del cinema italiani trai Cinquanta e i Settanta. Gli anni americani della«tigre del Tevere », come i cinematografari d’una Roma povera,ma ancora bella, soprannominavano quest’interprete di grande temperamento, sono quelli compresi tra il 1954 e il 1959. Un periodo che frutta all’asta romana -ma Franco Zeffirelli, amico di lei, sostiene sia nata al Cairo – i film Selvaggio è il vento e Pelle di serpente. Nonostante le platee americane considerassero la Magnani alla stregua di Greta Garbo, un’iconica diva senza tempo,a lei l’american dream andava stretto.«Cosa volete che sappia di Hollywood io? Nulla. Io qui lavoro e basta: per me è un posto di lavoro come un altro. Se mi chiedete qualcosa di Roma, vi potrei dire un sacco di cose. Ma Hollywood… vado e vengo talmente in fretta. Io adoro Roma, la mia splendida città simile a un’affascinante donna addormentata, rispondeva ai giornalisti che l’assediavano per sapere che cosa si provava al cospetto di Marlon Brando.
Un’altra star che con lei, incerta nel suo inglese romanizzato,non fu tenero:nella sua autobiografia la descrisse come la tipica donna latina, inutilmente passionale, che avrebbe cercato di sedurlo, sbattendolo sul letto del suo albergo a Beverly Hills. Le ragioni per cui Anna non sposò l’american way of life sono molteplici:dal la rigidità del sistema americano dei generi,che la costringe nello stereotipo dell’italiana tutta istinto alla sua provenienza geografica, quell’italianità e romanità da lei sbandierate. Un tratto distintivo d’appartenenza che oggi, tra divi globalizzati e privi di caratteri identitari, fa quasi tenerezza. Come sorprende la complicità «gattara-con Tennessee Williams, il mostro sacro de La gatta sul tetto che scotta e di Un tram chiamato desiderio, che a notte fonda, nella capitale addormentata, fa la spola, in macchina con «Nannarella-che guida spericolatamente, tra le comunità feline di Torre Argentina e Villa Borghese.Quale diva contemporanea si tirerebbe dietro uno scrittore di rango per sfamare qualche felino randagio?Anna Magnani era un po’ randagia anche lei, segnata alla nascita- nel quartiere papalino di PortaPia- Nell’esotica capitale d’Egitto?-da un’incertezza anagrafica: quando nel 1908 la romagnola Marina Magnani la mette al mondo, il padre calabrese Pietro del Duce è latitante, né la riconoscerà mai. Per questo le sue radici si perdono e quella ragazzina dagli occhi cupi e malinconici sentirà d’avere dentro di sé qualcosa di speciale. Ho capito che non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno», spiegava. Un quid d’amarezza che la rese emblema d’una generazione di donne pronte, col proprio lavoro, a ricostruire l’Italia del dopoguerra: la popolana Elide di Campo de’ Fiori, o la Pina che cade sul selciato di Roma, città aperta, o l’ambiziosa Maddalena del viscontiano Bellissima, oppure la femmina folle de Il miracolo, che partorisce in cima a un campanile, Mamma Roma è lei, una «mater dolorosa» sul set e nella vita. Furono le apprensioni per la sorte del figlio Luca, colpito dalla polio a 18 mesi, a tenerla lontana da Hollywood. Inseguendo l’avventura americana della Magnani, Barbara Rossi focalizza l’attenzione su quel primo affacciarsi negli States che fu la presentazione di Bellissima, nel 1953. E qui si capisce che la Magnani è diversa dalle star di Hollywood: la sua recitazione naturalistica, la coincidenza fra il destino dei personaggi interpretati e la sua vita, l’alterità del suo divismo la rendono unica. Certo, chiedendo un parere a Sidney Lumet, o a Marlon Brando, molti erano pronti a sottolineare l’insopportabilità di quella donna caratteriale. Indro Montanelli, che si divertiva a stuzzicarla, cercò di dissuaderla dall’avventura americana per non correre rischi: «Cercavo di parlarle da nemico, dicevo che faceva meglio a rinunciare». «Ahò! Ma che te credi? Io sono Anna Magnani», rispose lei.«E per ventiquattr’ore si stava tranquilli», scrive Montanelli.
Cinzia Romani
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