Milano 9 Ottobre – Monica Mondardini è una tosta. Diciamo così: non si trova nei consigli di amministrazione delle società quotate, perché gli azionisti sono alla disperata ricerca di una donna, così da rispettare l’assurdo obbligo delle quote rosa.
Oggi è amministratore delegato della Cir e della sua controllata Gedi (la scatoletta che controlla Espresso, Repubblica, La Stampa e il Secolo). Ha iniziato nell’editoria quando ancora si facevano quattrini, poi si è fatta fagocitare dal Leone di Trieste, ha girato il mondo, e infine è caduta tra le braccia di De Benedetti.
In pochi anni la Cir è passata da una posizione finanziaria pesantemente in rosso (più di 300 milioni) a una cassa di guerra di una quarantina di milioni.
È un manager pragmatico. Tra le bombe inesplose, si è trovata una vecchia pendenza fiscale del suo azionista. Risaliva a un’altra era geologica.
Quando, dopo la guerra di Segrate, il Cavaliere e l’Ingegnere si dovettero spartire i pezzi della Mondadori. In quei complicati meccanismi di scissione e successive aggregazioni, l’Ing avrebbe commesso delle furbate fiscali.
A ciò si aggiungono i cosiddetti dividend stripping: un congegno per eludere le imposte sui dividendi. Pratica (lo dice una circolare dell’Agenzia delle entrate) piuttosto difficile da dimostrare.
Ma tant’è.
Dopo una vicenda giudiziaria all’italiana fatta di assoluzioni e condanne, il gruppo Cir rischiava di pagare circa 390 milioni di euro. Nei bilanci Cir, nessuna provvista era stata postata, e l’esborso veniva descritto come «possibile».
Una bella botta. Ma il giorno del suo compleanno, il 26 settembre, la Mondardini decide di chiudere la partita, e il cda approva all’unanimità.
Perché tanta fretta, perché un contenzioso aperto per 26 anni si chiude all’improvviso? Perché la Mondardini si «fa un regalo» da 210 milioni, pari alla differenza del rischio fiscale (390 milioni) e quanto effettivamente Gedi pagherà e cioè 180 milioni?
La risposta che il comunicato ufficiale dà è molto verosimile: la società ha deciso di «avvalersi della facoltà offerta dal Decreto di addivenire alla definizione agevolata della predetta controversia». Si riferisce alla recente norma che permette la chiusura di liti con il fisco, con una forte riduzione di interessi e sanzioni.
Lo Stato fa subito cassa, le imprese pagano le imposte, ma non vengono soffocate.
Insomma proprio una di quelle leggi che i giornalisti di Gedi hanno combattuto per anni considerandole un incentivo all’evasione e molto berlusconiane. Ma questa è la libertà di stampa, bellezza. E ancora non ci spiega la fretta della Cir.
C’è un’altra spiegazione, di tipo tecnico. Se Gedi volesse fare un’altra operazione industriale, questo bubbone fiscale potrebbe rallentarla. Per la verità non ha rallentato, come ha notato Marcello Zacché su questo giornale, la nascita della Gedi stessa. Prima il debito fiscale era solo della Cir, oggi a pagarlo saranno anche i Perrone e gli Elkan, nuovi soci della società editoriale.
La spiegazione che ci intriga di più, è un’altra. La difesa della Gedi in Cassazione era affidata a Livia Salvini. Docente di diritto tributario della romana Luiss, frequente ospite di Giovanni Floris, consigliere di amministrazione dell’Enel e del Sole. Erede dello studio Gallo, ex presidente della Corte costituzionale.
Ma Livia Salvini è anche uno dei docenti finiti poche settimane fa nella retata dei concorsi truccati. Nel suo caso è stata prevista l’interdizione dall’insegnamento per dodici mesi. E il suo studio è stato coinvolto nel suicidio, ha scritto Tiscali News, del gestore del sito che avrebbe spifferato alla Salvini l’esistenza di un’inchiesta. Insomma una brutta storia, ma che per il momento è solo nelle fasi preliminari.
E ben lontana da una sentenza.
Ma veniamo a noi. La Gedi poteva affidare una fiche da poco meno di 400 milioni di euro, a un avvocato in così grossa difficoltà reputazionale?
Le discussioni in Cassazione sono molto delicate, certamente in punto di diritto, e il professionista che rappresenta la difesa si gioca grande parte della sua credibilità.
La storiaccia delle raccomandazioni, che domani potrebbe come spesso avviene finire in una bolla di sapone, rischiava invece di diventare oggi un bagno, ma di sangue, per la Gedi. Un piccolo fattore in più che ha pesato per chiudere, pagare tutto e pensare al domani.
Nicola Porro (Il Giornale)
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