Milano 11 Ottobre – Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola –
«Non so cosa si propongano oggi tutti coloro che mirano al peggio, che alimentano ogni forma di qualunquismo, che utilizzano la politica, l’informazione, lo spettacolo, come mezzi puramente distruttivi». Quando nel 1992 Bettino Craxi si alzò in Parlamento, disse queste cose, riconobbe la corruzione di sistema e indicò l’urgenza di una riforma che avesse nella politica la propria fonte di legittimazione, il partito postcomunista fece spallucce, il suo Napolitano sciolse il Parlamento per consegnarlo alle procure ripulito dalla Costituzione antifascista (che prevedeva l’immunità dei parlamentari), legittimò le retate e diede alle sinistre l’illusione di aver finalmente trovato una scorciatoia per andare a comandare. Fu allora che l’astuto D’Alema iniziò a raccogliere le figurine dei magistrati democratici e a portarle in parlamento. Però adesso dice al Corriere della Sera che «la differenza tra Renzi e Craxi è che Craxi era di sinistra». Commovente pedanteria. D’Alema e le sue figurine alla Di Pietro hanno inseguito il leader socialista fin dentro la cassa da morto. E adesso, stando nello stesso partitello di reduci, puntano a far fuori l’unico leader che è rimasto a sinistra e l’unico partito che ha la sinistra per sognare di restare ancora qualche mese al governo. Povero Pisapia, convocato a re Travicello di un Regno che non esiste.
Ma ecco cosa c’è alla fine del “non so cosa si propongano” craxiano: c’è il ragazzino Giggino Di Maio, napoletano di buona famiglia e di buon fancazzismo, pupazzetto di Gargamella Grillo che lo ha impalmato nientemeno che di «candidato alla Presidenza del Consiglio». Può farcela? Ma certo che può. Nel deserto italiano ogni guagliuone è bello a mammasua giustizialismo. Roba forte che ha impregnato la ruota del criceto giornalistico della indignazione di giornata. E che ogni giorno sospinge sul tamburo leggi tipo il “nuovo codice antimafia”, parola di presidente di Confindustria, che «equipara l’attività degli imprenditori a quella dei delinquenti». Musica per le orecchie dell’investitore straniero! Nell’odierno caos internazionale, magari fa pure comodo ai “poteri finanziari e mediatici” di cui parla papa Bergoglio, che l’Italia, ex quinta potenza mondiale ed ex seconda potenza industriale d’Europa, coltivi una vocazione di paese per vecchi e camerieri. Diventeremo un po’ la camera di compensazione dei flussi migratori, un po’ la Florida dei pensionati benestanti arabi, cinesi e russi? Chissà.
Io sto già con Berlusconi
Comunque, a raccomandarci un destino da upper class di prima scelta anziché la Grecia (che non ha più un’azienda, però i giovani salariati sono in crescita perché sussidiati dalla Ue per lavorare nelle Ong che “accolgono” gli immigrati), ci pensano le menzogne delle “migrazioni ineluttabili” e degli Ius soli inevitabilmente “leggi civili”. Tutte falsità da tirannia del Bene, come ha ben descritto Socci su Libero, e dai begli artigli d’Amore. Nei fatti, il grosso dei disperati – questi sì, milioni – sono a fare da carne da cannone e da ricatto verso l’Europa, accampati lungo i confini di Turchia, Irak, Siria, Libano, Yemen, Somalia. Per liberare milioni di esseri umani dalle loro prigioni a cielo aperto basterebbe organizzare una missione di polizia internazionale e fare a pezzi i quattro tagliagole islamici cresciuti sotto la benevolenza dialogante del doppio mandato di Obama.
Chiudere con il fuoco i loro covi mediorientali, e sigillarne i canali di reclutamento digitali sarebbe una impresa difficile ma non impossibile. Certamente più intelligente di quella di alimentare il coccodrillo che spinge fiumane di persone a fuggire. E noi, stolti, a raccogliere i cocci invece che a costruire nuovi vasi. È vero piuttosto che quasi tutti i 180 mila che sono sbarcati nel 2016 in Italia, sono migranti economici. Infatti, in Italia – e solo in Italia, perché negli altri paesi europei non è così – sono presenti ben 103 nazionalità di migranti. E noi li “accogliamo” solo per incassare i sussidi europei. Tant’è, ci dice una fonte del ministero degli Interni, «a quelli che andiamo a prendere in mare domandiamo per prima cosa come si chiamano e da quale paese arrivano. Questi rispondono esibendo un pezzo di carta in cui c’è scritto: “Ecco a cosa abbiamo diritto secondo le leggi italiane ed europee”. Vogliamo un lavoro».
Capito? Se pensiamo che non avesse ragione Craxi, allora ben venga un governo Di Maio con i Davigo ministri. E prepariamoci al peggio del peggio. Ma se ancora un po’ di sale in zucca ci è rimasto, bè, allora cominciamo a dividerci per poi ritrovarci inevitabilmente tutti insieme, visto il lavoro che c’è da fare, sotto le bandiere delle ultime compagnie politiche plausibili e degli ultimi leader responsabili. I nomi? Fate un po’ voi. Io sto già con Berlusconi.
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