Milano 12 Ottobre – Le imprese dell’e-cig, la c.d. sigaretta elettronica, dell’Anafe si sono date per fare per salvare i propri investimenti. Già le prime tipologie di sigarette alternative, un po’ senza carta, un po’ senza catrame, portate sul mercato in alternativa alla mortifera sigaretta, erano state sabotate clamorosamente dalle autorità, che dopo l’avvio di commercio e distribuzione, le avevano considerate velenose quanto le bionde. In aiuto dell’e-cig che nella forma assomiglia tanto a certe pipe per il fumo d’oppio, di moda nei ’70 e ’80, è addirittura nato un intergruppo parlamentare capitanato da quell’onorevole Abrignani, già scajoliano, poi forzista, poi alista verdiniano, poi sceltacivista zanettiano, che secondo l’Ad cacciato di Consip, Marroni, lo andò a trovare per conto del Denis. E’ stato anche individuato un professore torinese, a difesa dell’e-cig quale strumento di riduzione del danno e dei rischi del tabacco. Teoria vuole che gli 11 milioni di fumatori, nell’impossibilità di proibire loro quel tabacco che rende 15 miliardi di accise, dovrebbero smettere passando all’elettronica e sempre finanziando il sistema sanitario che a sproposito si vanta di 7,5 miliardi di euro l’anno di spese conseguenza del tabagismo, accusandolo di qualunque decesso cardiorespiratorio anche alle età più avanzate. I puristi del divieto si sono ovviamente inalberati. Gli pneumospedalieri non solo hanno rincarato la dose sulle sigarette, ma hanno anche scomunicato qualunque variante modernista. Come la marijuana conduce all’eroina, le e-cig inducono alle sigarette. Se poi si pensa all’eventuale cacerosità di formaldeide da vapori riscaldati e degli aromi alimentari nei condotti respiratori, i rischi si fanno più foschi. Come l’inquinamento da elettromagnetismo, la cui esistenza è tuttora da dimostrare, anche i pericoli dell’e-cig non sono dimostrati ma nemmeno il contrario. E non è giusto sottoporre a rischi passivi il resto dell’anonima popolazione. Così la spada di Damocle del divieto di utilizzo nei locali pubblici per le sigarette, voluto da Sirchia a destra e sostenuto da Veronesi a sinistra, pende anche sulle e-cig, già oggi cacciate dai locali più in ligi al bon ton delle nari, ed ora anche degli occhi più sensibili. Vegliano e discutono stakeholders e politici, imprenditori ed esperti, medici e professori. Muti solo restano gli 11 milioni di fumatori che gli uni vorrebbero redimere obtorto collo e gli altri condurre a danni minori, escludendo accensione e bruciatura di carta e catrame. Occhiuti e perversi alleati di tali fumatori restano solo i rapaci tassatori che si sfregano le mani nell’attesa di aumentare i prezzi (cioè le tasse) del tabacco con la scusa della redenzione. Tutti gli esperti non si fermano un attimo a considerare la straordinarietà, l’ostinazione sofferente degli 11 milioni, un quarto degli attivi, ancora esistenti dopo decenni di discriminazione feroce e ottusa. Duri, isolati, infreddoliti, malvisti e calunniati, terrorizzati; descritti come insani suicidi avvelenatori di sé e degli altri; più malati, invece che da sigarette, di correnti e freddo per la permanenza in camicia fuori dai locali che li maltrattano e li fanno pagare due volte, i fumatori restano increduli. Che tanto accanimento avvenga nel paese dall’età media più lunga e dal numero di anziani ben più ampio di quello dei giovani. Che le promesse scritte sui pacchetti delle agognate sigarette- il fumo uccide- restino assolutamente fallaci, poiché nessuno muore dopo una soffiata di fumo in faccia. E che tale avviso non appaia sulla canna dei fucili, né sui calci delle pistole, né sui fianchi di auto e camion con tanto di foto di cadaveri sanguinolenti mutilati dalle carcasse di lamiera delle auto incidentate. Gli 11 milioni di fumatori non vogliono essere accompagnati né lungo la cattiva strada né quella buona, né essere disintossicati esattamente come non lo vogliono i gran bevitori di vino, un tempo alcoolisti, gli strafogatori di salcicce e lardi, i sordi da urli da discoteca e la meglio gente, imbottita di cocaina. Sono abbastanza, in 11 milioni, per pretendere per sé un apharteid, uno smoking ambient sul lavoro, in taxi, in treno, in aereo e se si vuole anche in strada, senza che le presunte vittime, a 50 anni di danno ritardato, rompino. Ne hanno il diritto in nome del prezzo pagato, 15 miliardi, 165mila euro a testa; ne hanno diritto come 20% degli elettori effettivi. Questo wishful thinking resta però sempre frustrato dalla carenza di offerta. Fumano tutti in gran parte i leader partitici, ma non c’è un partito che offra libertà ai fumatori. Ci si strappa le vesti in difesa di cani, gatti, erbe e aspiranti suicidi ma non c’è un partito che il fumatore possa scegliere per poter pagare, come sempre, salato il tassista e fumando abbreviargli la vita. Anche quando quello da solo, in macchina, se la fuma. Non c’è intergruppo fumatore; solo la stragrande maggioranza di onorevoli che accalca nel chiosco parlamentare per correre solo al momento del voto. Nelle aziende possono permettersi di fumare solo proprietari e capi tra i sorrisi delle inservienti, le stesse che starnazzano dietro i sottoposti nei corridoi. L’interdizione del fumo impedisce come si vede anche l’ascolto, la discussione, l’intelligenza, la dignità, l’eguale rispetto . Ed i risultati sono sotto le nari di tutti.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.