Dalla mensa al Soviet: la rivoluzione di Sala a scuola

Milano

Milano 17 Ottobre – Ventidue, diconsi ventidue, fasce di reddito per la mensa. Questo perché, ovviamente, la verità non si può dire. Non si può dire chi evade. Non si può raccontare perché in testa ci siano quelli che dovrebbero pagare di più (ovvero chi non presenta l’ISEE, magari perché irregolare. E ci siamo capiti). Non si può fare l’unica cosa seria e risolutiva, smettere di servire i pasti a chi non ha pagato per averli. Quindi via di creatività, sulla scia del disastro dei centri estivi, in cui si vessa chi ha sempre pagato, facendo gli sconti di fine stagione per chi, in questo paese, continua a ricevere, crisi o non crisi. Si bastona chi produce, gli si alzano costantemente le spese. Finché qualcuno non dice basta, passa alla schiscetta. Ed a quel punto, se prima non si potevano umiliare i figli, adesso è invece concesso. Quindi si separano i bambini, facendo loro provare l’apartheid. In ogni caso, si diceva, la Scavuzzo punta su 22 fasce di reddito. Racconta Repubblica:

Palazzo Marino studia la rivoluzione delle rette delle mense scolastiche. Il sistema sarà simile a quello già applicato per i centri estivi. Con le tariffe che non verranno più calcolate in base agli attuali sei – compresa la soglia di esenzione – “maxi-gradoni” dell’indicatore Isee, ma si moltiplicheranno fino a diventare 21 “gradini” con intervalli di 2mila euro. Bollettini personalizzati, o quasi. E comunque, “più vicini alla capacità contributiva delle famiglie”. Perché, una volta ridisegnate geometrie e confini delle fasce di reddito, naturalmente ci sarà qualcuno che pagherà di meno e qualcuno che invece dovrà versare di più. “Ma in modo non generalizzato”, dice la vicesindaca con delega all’Educazione, Anna Scavuzzo. Anche se questa volta, assicura, l’operazione verrà fatta a parità di gettito complessivo per le casse comunali, con l’asticella che rimarrà ferma allo stesso livello, attorno agli attuali 33 milioni di euro. A cambiare saranno gli equilibri interni. Con un obiettivo politico: “Non puntiamo a fare cassa, ma a una maggiore equità”.

Ecco, da liberali, oltre alle considerazioni economiche, questa è la più odiosa. Di che equità, esattamente, stiamo parlando? Quella di chi produce, ancora una volta vessati? Costretti a strapagare un servizio che ha delle enormi pecche solo perché i radical chic (con i figli di rigore alle private) si sentano meglio? L’Isee, come già detto nel disastro dei centri estivi, è uno strumento penalizzante da morire per i Milanesi. Ovvero chi qui ci vive. E magari ha una casa. Insomma, ancora una volta siamo di fronte ad un trasferimento di risorse tra i figli della città ed il resto del Mondo. E con un gioco a somma zero. Quindi chi paga di più non avrà più qualità. Solo la gioia di aver reso felice la Scavuzzo che può giocare alla benefattrice. Regolarmente coi soldi degli altri.

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