Sono 23 le competenze su cui Lombardia e Veneto potrebbero aprire una trattativa con lo Stato. Il nodo del residuo fiscale: per la Lombardia è a quota 52 miliardi, per il Veneto a 15
Milano 19 Ottobre – I referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto ruotano attorno a due parole: poteri e risorse.
Il merito
Con il voto di domenica 22 ottobre in gioco ci sono le competenze su 23 potenziali materie e qualche decina di miliardi di euro. La Carta indica 20 funzioni di competenza concorrente (e altre tre «negoziabili»). Dai giudici di pace ai rapporti internazionali delle Regioni, dalla protezione civile al commercio con l’estero, dalla distribuzione dell’energia alle casse di risparmio, dalla tutela dell’ambiente ai beni culturali. Un menu potenzialmente ricchissimo, così ricco da richiedere che almeno la metà dei rispettivi residui fiscali venga restituito (o mantenuto) ai territori.
Il residuo fiscale
È il nodo politico dei referendum. I due governatori che hanno promosso i quesiti, i leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia, hanno individuato il nemico numero uno nella differenza cioè tra quanto un territorio versa in tasse e tributi allo Stato centrale e quanto ne riceve indietro in servizi. Per la Lombardia l’indice è calcolato in 52 miliardi di euro (56 secondo le ultime stime della Regione), per il Veneto in 15 (al secondo posto c’è l’Emilia-Romagna). Per abbattere questa cifra i referendari sostengono che la via sia quella, tracciata dalla Costituzione, di una maggiore autonomia in fatto di competenze e funzioni.
Dopo il voto
Se ci fossero tanti sì (e in Veneto, essendo previsto da statuto il raggiungimento del quorum, anche il 5o per cento più uno dei votanti) le due Regioni dovrebbero intavolare una trattativa, che dovrà poi sfociare in una legge ad hoc, per ottenere la gestione di quante più materie possibili nel pacchetto di quelle «trasferibile». Secondo Stefano Bruno Galli, politologo e ideologo dell’autonomismo maroniano «il punto è proprio di rinegoziare un rapporto più equo tra centro e periferia. Siamo i più vessati d’Europa, nessuna capitale si accanisce in maniera così predatoria come fa Roma coi suoi territori».
Gli schieramenti
L’abbattimento del residuo fiscale è però materia scivolosa, contestata anche da chi a sinistra ha scelto di schierarsi a favore delle ragioni dell’autonomismo. I sindaci delle più importanti città lombarde, in testa il milanese Beppe Sala e il bergamasco Giorgio Gori, sostengono il sì «nonostante le mistificazioni leghiste sulle tasse». «Non è vero che col referendum si ottengono benefici fiscali, ma anche l’obiettivo sarebbe di per sé sbagliato», ha osservato di recente il costituzionalista Valerio Onida: «Salterebbero per aria l’unità nazionale e la solidarietà verso i territori meno ricchi». In Veneto — dove, come in Lombardia, i gruppi dirigenti dem sono schierati per l’astensione — 39 amministratori del Pd hanno firmato un documento a favore.
I rapporti con lo Stato
Non si litiga solo sui soldi. Maroni e Zaia vanno ripetendo che la legittimazione popolare porterà maggiori competenze praticamente su tutto. Sul sito della Lombardia si raccomanda il sì anche per «esercitare un’energica azione politica per ottenere un’ancora più ampia competenza in materia di sicurezza, immigrazione e ordine pubblico». Competenze che la Costituzione assegna però in via esclusiva allo Stato centrale. «Fake news», ha attaccato Gori, l’uomo che tra pochi mesi sfiderà Maroni nella corsa alla presidenza della Lombardia.
Massimo Rebotti Andrea Senesi (Corriere)
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