Milano 24 Ottobre – Puntuale, come ogni inverno, rieccola: l’emergenza smog torna a campeggiare sulle prime pagine dei giornali. Come l’anno scorso, due, cinque, dieci o venti anni fa. Come se nulla fosse cambiato o, peggio, come se la qualità dell’aria fosse divenuta via via più irrespirabile tanto da consigliare, come accaduto a Torino, di tenere le finestre ben chiuse. Una narrazione consolidata e apparentemente del tutto impermeabile alla realtà. Proviamo allora a ristabilire alcuni punti fermi.
1) Cosa succede alla nostra salute quando si superano i limiti di legge?
“Niente di particolare”, sostiene Stefano Zauli Sajani, dipendente dell’Arpa Emilia-Romagna e autore di un volume dal titolo inequivocabile Ma il cielo è sempre più blu. Aggiunge il ricercatore che “la spasmodica attenzione verso il superamento dei limiti giornalieri non ha una forte giustificazione. La cosa più importante per la difesa della nostra salute non sono i picchi ma le medie annue, non gli effetti acuti ma quelli cronici.”
2) Come è cambiato l’inquinamento atmosferico negli ultimi 30 anni?
Se guardiamo, come ci suggerisce Zauli Sajani, alle medie annue, scopriamo che, lungi dal trasformarsi in un’emergenza, il livello di inquinamento nelle nostre città è radicalmente calato negli ultimi decenni. La concentrazione di polveri sottili nell’aria è diminuita di oltre il 70%, da 200 a 40 microgrammi per metrocubo di aria. Simili miglioramenti sono stati registrati per gli altri inquinanti. Un bambino che nasce nel 2017 respirerà un’aria molto più pulita di suo padre e di suo nonno oltre che delle generazioni precedenti: cento anni fa, all’interno delle abitazioni, la concentrazione delle polveri a causa dell’uso di combustibili non fossili per la cottura dei cibi ed il riscaldamento era verosimilmente analoga a quella che ancor oggi si registra nei Paesi più poveri e che risulta pari a più di venti volte quella attuale nell’atmosfera delle nostre città.
3) Quali sono le cause del miglioramento della qualità dell’aria?
La riduzione delle emissioni è dovuta pressoché esclusivamente ai miglioramenti tecnologici nel settore dell’auto ed in quello manifatturerio e al passaggio dal carbone al gas come combustibile prevalentemente utilizzato per la produzione di energia oltre che per il riscaldamento. Il ruolo delle politiche della mobilità è pressoché trascurabile.
4) Si muore di smog?
No. Si moriva di smog a Londra negli anni ’50 ma oggi in Europa e in tutti i Paesi più sviluppati non vi è più un solo caso di decesso attribuibile esclusivamente allo smog. Nessuno esce di casa in buone condizioni di salute e non vi fa ritorno alla sera a causa dell’inquinamento. Secondo alcuni studi epidemiologici la riduzione della speranza di vita è dell’ordine dell’1% (tre giorni all’anno o sette mesi nell’arco di tutta la vita). Peraltro, nelle condizioni attuali, non vi è alcuna correlazione tra speranza di vita e livello di inquinamento delle varie regioni, a differenza di quanto accade con riferimento al consumo di alcool e tabacco. Nella relativamente più inquinata – a causa delle condizioni orografiche sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti – Pianura padana la speranza di vita media è superiore a quella del resto dell’Italia e dell’Europa. A Milano negli ultimi trent’anni la vita media è aumentata di ben otto anni ed è oggi superiore di circa un anno a quella di Genova dove la concentrazione di polveri sottili è quasi dimezzata rispetto a quella del capoluogo lombardo.
5) Sono possibili ulteriori miglioramenti rispetto alla situazione odierna?
Sì, ma sono di entità molto ridotta rispetto a quelli già conseguiti. Stiamo raschiando il fondo del barile. Immaginando di azzerare tutto il traffico su gomma la concentrazione di polveri si ridurrebbe di 20 microgrammi, all’incirca un ottavo del miglioramento dagli anni ’70 a oggi. Il naturale rinnovo del parco veicolare porterà nei prossimi anni ad un ulteriore contenimento delle emissioni in assenza di ulteriori provvedimenti restrittivi.
6) Sono efficaci le politiche di riduzione del traffico privato e di incentivazione dei trasporti collettivi?
L’efficacia di tali misure è minima e si riduce di anno in anno. Oggi, per ottenere un identico risultato in termini di riduzione delle emissioni, è necessario impedire la circolazione a dieci auto invece che a una sola come accadeva trenta anni fa. E, come ha fatto notare Luigi La Spina sulla Stampa di ieri, i provvedimenti di limitazione della circolazione colpiscono soprattutto le persone più povere che non hanno la possibilità di acquistare un veicolo più moderno e che, spesso, vivono e lavorano nelle periferie delle città dove i trasporti collettivi non possono essere un’alternativa realistica al mezzo individuale.
Inoltre, ingenti investimenti in ferrovie, tram o metropolitane determinano una diminuzione delle auto circolanti assai contenuta: a Torino la nuova linea di metropolitana ha indotto a lasciare l’auto a casa solo seimila persone equivalenti all’1% di coloro che se ne servono nell’area metropolitana di Torino. Tali investimenti sono molto onerosi per le finanze pubbliche sia per i costi da sostenere direttamente sia per la riduzione delle entrate fiscali che si determinano in presenza di una riduzione dell’uso dell’auto (oltre metà del costo del carburante è rappresentato da accise). Forse è giunto il momento di pensare oltre che alla sostenibilità ambientale anche a quella economica: se ai nostri figli lasciamo un’aria molto più pulita di quella che ci hanno consegnato i nostri padri, lo stesso non può dirsi per il debito che lasciamo sulle loro spalle che, come noto, è cresciuto a dismisura.
Francesco Ramella (La Nuova Bussola Quotidiana)
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